mercoledì 22 aprile 2009

IL DETECTIVE


Ho sempre voluto fare il detective nella vita e finalmente era giunto il mio momento. Pochi mesi dopo la nascita sono stato portato ad una famiglia che mi ha accolto con molto calore ma, in me c’è ancora il ricordo della mamma. Non mi do pace al suo pensiero anche se la famiglia che mi ha adottato, non mi ha fatto mancare mai niente: cibo, giocattoli, coccole e una bella cuccia tutta per me da non condividere con altri fratelli. Sì certo una cuccia, cosa avevate capito, sono un gatto, adottato da una famiglia con una casa piena di nascondigli per i miei agguati e con un gran terrazzo dove ritrovare gli odori della natura cui ero stato abituato, anche se per poco. Per essere un gatto che è nato in una cascina alle porte di Milano non mi è poi andata così male. In città con un terrazzo dove cacciare uccellini e cavallette come quando ero in campagna. Una vera cuccagna! Entriamo ora nel vivo del problema. Ho sempre avuto dalla nascita due “cosine”, che mi hanno sempre fatto compagnia…se ci sono nato vuol dire che facevano parte di me e perché adesso mi ritrovo senza? Un bel giorno, si fa per dire, andiamo tutti da un brutto signore con un ridicolo vestito verde. La giornata era già iniziata male: non mi piace andare dentro la cesta, non mi piace andare in macchina per Milano perché ci sono troppi rumori fastidiosi per le mie orecchie delicate e, patatrac! Ad un certo momento un improvviso sonno…sta di fatto che quando mi risveglio mi ritrovo, anzi non mi trovo più i due miei amici di sempre. Devo dire che l’ho presa proprio male. Nonostante non avessi più niente, mi faceva male tutto e mi sentivo anche un po’ imbambolato. Quando finalmente mi sono ripreso ho deciso che dovevo scoprire la verità. E’ iniziata da poco la primavera e quindi passo più tempo sul terrazzo ad annusare i fiori che la mia amica umana pianta e a cercare di fare amicizia con i gatti dei terrazzi vicini. Al piano di sopra c’è un gattone nero molto tranquillo che non vuole troppo socializzare mentre in quello vicino, sullo stesso piano, è arrivata da poco una gatta siamese molto carina e desiderosa di fare amicizia ma, secondo me, in questo periodo non sta troppo bene perché è da qualche tempo che continua a miagolare sia di giorno sia di notte, cercando sempre la mia compagnia. Sì simpatica, carina ma io preferisco cacciare le mosche o giocare con i miei peluches. Ho provato a familiarizzare con i piani alti e a chiedere al “nerone” se ne sapesse il motivo, anche perché è la prima volta che lo vedo così agitato in vita sua, e a questo punto, per i rapporti di buon vicinato, ho chiesto anche a lui cosa stesse succedendogli ma non mi ha neanche dato retta. Me lo aveva detto la mamma che a Milano sono tutti bauscia e pensano solo a se stessi. Continua a camminare sul cornicione del terrazzo avanti indietro come un matto cercando un modo per balzare giù ed io dal basso lo vedo, lo vedo e… che cosa vedono i miei super occhi da detective. Lui ha ancora i suoi “cosini”. Come mai lui sì e io no. Cosa mai serviranno…ma io alla fine ci arriverò a scoprire la verità se no che detective sarei… se ci fosse stata la mia mamma sicuramente mi avrebbe dato una risposta, è proprio vero che in città sono più riservati!

mercoledì 8 aprile 2009

IL DESIDERIO


Stavo percorrendo una stradina di montagna, piena di curve e di buche. Gli ammortizzatori della mia macchina chiedevano disperatamente pietà. Nonostante tutto, il panorama toglieva il fiato. Gli abeti ai lati della strada davano una luce particolare al percorso, quando il sole riusciva a filtrare, si notavano i raggi che ti colpivano con violenza. Abbassai il finestrino e l’aria frizzante mi svegliò. Non che stessi dormendo ma ero rilassata e mi godevo il panorama. Rallentai per assaporarne il sapore, il profumo. C’era un misto di aromi di funghi, resina e muschio. Chissà quanti porcini erano ben nascosti nel sottobosco! Rallentai ancora di più per cercare di vedere in mezzo alla boscaglia se c’erano animali. L’orario era perfetto, le cinque del pomeriggio, il sole non più caldo e poca gente in giro. Lo desideravo tanto. Ero così intenta a osservare ogni minimo movimento che a momenti andai a sbattere contro un semaforo. Ma che cavolo ci faceva un semaforo su questa strada? Mi accorsi solo dopo che c’era anche un cartello che indicava dei lavori a pochi km. Sicuramente la carreggiata era stata ristretta e per permettere il passaggio delle macchine avevano messo uno di quei semafori che alternano il passaggio. Sfortuna vuole che fosse rosso per me. Inizia a guardare avanti a me, ma non vedevo arrivare neanche una macchina. Ma non potevano mettere un omino a dirigere il traffico, così faceva passare le macchine che c’erano al posto di questo stramaledetto semaforo! Spensi il motore e guardai l’orologio. Erano passati già cinque minuti ed era sempre rosso. Mi accesi una sigaretta e iniziai a sacramentare contro il sistema. Quale sistema non lo so, ma tanto per avercela con qualcuno. Per non impuzzolentire la macchina aprii la portiera e scesi, pronta nel caso di verde a scattare veloce e riprendere il mio viaggio. Ero così nervosa che non mi stavo neanche più godendo il panorama. Basta non ne potevo più, il tempo passava ed io ero sempre lì con questo semaforo che vegliava su di me e mi diceva, col suo rosso, di non muovermi. Feci una corsa e lo raggiunsi. Controllai dietro per scorgere se era tutto a posto, e lo presi a pugni per vedere se per caso non si fosse inceppato, che ne so magari un contatto. Niente, il nulla … lui se ne stava imperterrito sul suo rosso. Stavo per tirare fuori una sequela d’insulti quando, sentii dei fruscii arrivare alla mia destra. Mi voltai di scatto, impaurita e lì in mezzo ad un cespuglio che mi osservava con tranquillità, c’era un cervo. Rimasi senza fiato, o meglio non respirai più per paura che scappasse per il troppo rumore. Era bellissimo, i suoi occhioni mi guardavano, domandandosi forse cosa stessi facendo li. Me lo stavo domandando anch’io, veramente. Accidenti a me avevo la macchina fotografica nell’auto e se mi fossi di certo mossa per raggiungerla, il cervo sarebbe scappato. Restai a osservarlo mentre brucava, non so per quanto tempo. Oramai mi ero anche dimenticata del semaforo rosso. Ero estasiata dalla sua imponenza. Come era arrivato, a un certo punto qualcosa lo spaventò e con un bellissimo salto sparì. Mi girai di scatto, svegliata all’improvviso da un sogno, e mi accorsi che finalmente il semaforo era diventato verde. Corsi verso la macchina, l’accesi velocemente e passando di fianco al semaforo lo ringraziai per il bellissimo regalo. Stavo per imboccare la curva che mi avrebbe portato al restringimento di carreggiata, quando sentii qualcosa. Non so dire se sia stata la mia immaginazione, il vento, il rumore del bosco, ma distintamente io percepii: “Prego!”

martedì 7 aprile 2009

DUE SULLA STRADA


“Ciao Pina, cerca di non ciapà troppo fregg oggi!” Come ogni giorno la Sonia si divertiva a prendere in giro il mio modo di attirare la clientela. Nonostante si impegnasse a parlare Italiano qualche parola di milanese gli scappava ancora nella conversazione, l’abitudine era dura a morire per due vecchie milanesi come noi. Ho ormai superato da un po’ la soglia dei cinquant’anni e sono ancora sulla strada. Non posso certo fare concorrenza alle giovani leve dell’est, belle bionde con fisici scolpiti, ma ormai ho la mia clientela affezionata. Sì a guardarmi sono un po’ sovrappeso. Il seno, il mio punto forte in gioventù grosso e sodo, ormai è cadente. E’ proprio con quello che attiravo e attiro ancora i miei clienti. Ho un “reggipoppe” scollato che me le alza e quando vedo qualche macchina che si avvicina apro la giacca e lo mostro. Non posso certo mettermi alla mia età a far concorrenza alle ragazze in reggicalze minigonna o vestitini attillati, ho anche io il senso dell’estetica! Do un ultimo tiro alla sigaretta, trattengo il fumo più che posso e lo sbuffo fuori ridendo. “Non possiamo di certo permetterci di ammalarci alla nostra giuin età!” mi sussurro. Nonostante sia da anni che conosca la Sonia non mi sono mai permessa di chiederle come e perché abbia iniziato questo lavoro. Io e lei non ci siamo mai fatte concorrenza perché siamo due donne completamente diverse; io un po’ rotondetta, capello corto biondo, pantaloni ma con due “tettazze” sempre in vista, lei alta capello lungo moro gonna corta sempre seduta a gambe aperte, naturalmente senza mutande sotto! Ognuna di noi ha due clientele ormai affezionate che mai e poi mai si azzarderebbero a scambiarci. ”Incö el fa tropp fregg…me sa che non si vede nessuno!” Povera Sonia sempre a lamentarsi del freddo e dei pochi clienti. Non faccio neanche in tempo a pronunciare una risposta che vedo arrivare come ogni mattina una macchina bianca. ”L’è il Gianni!” Si alza di scatto è con il miglior sorriso di cui dispone lo aspetta già pronta a salire. Resto sola nei miei pensieri, per passare il tempo mi accendo un’altra sigaretta. Ultimamente non è che vada molto bene il lavoro, troppa concorrenza giovanile, troppe ragazze agli angoli delle strade. Quando ho iniziato ero anche io giovane, carina e provocante. La scuola non mi è mai piaciuta e dopo essere stata bocciata ancora una volta mio padre, come sempre ubriaco, mi aveva picchiato e mandato all’ospedale con una frattura ad un braccio. Mi ero sempre ripromessa che una volta diventata maggiorenne me ne sarei scappata di casa e sarei riuscita a badare a me stessa. E così ho fatto. Per una ragazza che non ha finito gli studi trovare lavoro non è facile, ma ero disposta a far tutto non avevo certo grandi pretese. Bussavo ovunque, ma la risposta era sempre la stessa, no! Una delle ultime mie richieste fu in un bar per un lavoro da cameriera ma anche qui la risposta fu negativa perché cercavano personale con esperienza. Me ne uscii afflitta. Ho sempre pensato che se uno ha voglia di lavorare il lavoro prima o poi arriva. In un certo senso non mi sbagliavo. Girato l’angolo del bar mi sentii chiamare. Chi poteva sapere il mio nome? Mi girai e notai un signore che era seduto al bancone del bar che avevo appena lasciato. “Pina cara, ho sentito che stai cercando un lavoro. Una bella ragazza come te non dovrebbe aver difficoltà sai…” gli sorridevano gli occhi, mentre mi parlava. “Io gestisco un gruppo di ragazze… tutte belle come te… per fare compagnia a dei miei clienti…è un lavoro ben retribuito…ti può interessare?” Ogni sua frase era stata scandita con molta cura. Sapevo benissimo di cosa mi stava parlando. Non ci pensai due volte. Per cento porte che mi erano chiuse alle spalle, finalmente una si era aperta. Carina ero carina e se il mio fisico poteva aiutarmi a tirare fine mese…non ci vedevo niente di male! Feci da compagnia particolare ai clienti per qualche anno…poi decisi, avendo messo qualche soldino da parte, di cambiare vita. Ma da un pero non nasce un melo e così…mi resi conto che l’unico lavoro che sapevo fare era quello della prostituta e decisi di mettermi in strada anche perché ormai non avevo più l’età per fare da giovane accompagnatrice. Quanti inverni erano passati da allora e nonostante non fossi più carina ed in forma come un tempo il lavoro non mi è mai mancato. I clienti dopo un po’sono sempre gli stessi: signori di una certa età che preferiscono l’esperienza alla bellezza! E di esperienza io ne avevo tanta…
“Meno male che il Gianni l’ha pissà il riscaldamento...”. Ma quanto è stata via? Guardo l’orologio convinta che sia passata un’eternità e con mio stupore mi accorgo che sono passati solo quindici minuti. La cerco con gli occhi, le sorrido. “Sei stata più veloce del solito Sonia, potevi goderti il caldo ancora un po’…tanto la giornata sarà molto lunga!”

lunedì 6 aprile 2009

SUL PRECIPIZIO


Sul precipizio...mi avvicino, guardo avanti a me il nulla, il vuoto...mi volto indietro...tutto quello che conosco. Vado o non vado? Chiudo gli occhi e sento il vento che mi circonda. Faccio un passo in avanti e.................

Inizio a cadere...mi metto a braccia aperte e do la schiena al vuoto. Sento sotto di me l'aria che mi culla...apro gli occhi e osservo le nuvole bianche che cercano di attutire la mia caduta. Quando ci passo dentro sento freddo ma la corsa rallenta. Vedo sopra di me, gli uccelli che mi guardano stupiti...uno, il più coraggioso si avvicina e fa un pezzo di "strada" con me.

Lo guardo e gli dico "ma che bello è volare"...lui mi fa l'occhiolino e torna al suo stormo. Continuo a cadere ma è così bello... i muscoli delle gambe e delle braccia sembrano massaggiati da abili mani da quanto si muovono. Giro la testa per vedere quanto manca alla fine. Sotto di me tutto così piccolo, io padrona dello spazio, del tempo, del mondo...sembra che la mia caduta non finisca mai...mi rendo conto che sto galleggiando...Mi rilasso ancora di più...mi lascio cullare dal vento, ascolto tutto quello che mi circonda e ascolto il mio cuore.

Batte piano, tranquillo contento. Ascolto la mente. Mi giro, guardo in alto e vedo il precipizio...inizio a nuotare per risalire da dove sono patita. La salita è più faticosa. Mentre salgo si riavvicina l'uccello di prima e fa nuovamente l'occhiolino. Arrivo in alto tutta sudata e resto ad osservare la terra da dove mi sono buttata. Riguardo davanti a me ed adesso vedo quello che conosco, abbasso la testa e vedo il nulla ma stavolta anche questo lo conosco.

Chiudo gli occhi e faccio un passo. I miei piedi toccano il terreno, soffice. Resto quanche minuto ferma e ascolto il mio cuore, che batte ancora piano, rillasato e la mia mente. E' lei che parla " Non è poi tanto male non avere il controllo e lasciarsi andare al vuoto, al nuovo...non trovi!" Apro gli occhi e lentamente prendo la strada per scendere a valle.

NELLA VASCA


Finalmente a casa! Oggi sono proprio stanca, ho girato in lungo ed in largo Milano come una matta senza riuscire a fare pressoché niente. Non capisco perché gli scioperi dei mezzi pubblici debbano essere sempre fatti di venerdì, in città vige già il caos perché la gente è pronta mentalmente al week end ed è magari andata al lavoro con la macchina carica per partire.

Adesso, per rilassarmi mi preparo un bel bagno caldo. Apro l’acqua e regolo la temperatura. Non mi piace troppo caldo. Metto il bagnoschiuma…ops me ne è scappato troppo…e vado a svestirmi. Magari uno pensa che la parola svestirmi sia: prendo tutto ciò che indosso, lo tolgo, lo piego e la metto via…questo non vale però per la sottoscritta. Io prendo i vestiti che porto, li tolgo, camicia e golf insieme così faccio prima e li lascio appallottolati.

I jeans hanno un destino più crudele, restano addirittura sul tappeto in camera insieme alle calze e alle mutande. Odio quelli che mi dicono “ci metti lo stesso tempo a mettere a posto le cose”, ma stiamo scherzando vuoi mettere che risparmio mollare tutto così come si trova? Sento l’acqua che scorre nella vasca, ma il rumore è un po’ ovattato. Mi affaccio in bagno e vedo che la vasca straborda di schiuma. Mi sembrava che ne fosse caduto troppo cavolo! Prendo il doccino e cerco di abbassare la schiuma con lo schizzo, ma dove accidenti ho la testa, si vede che sono stanca oggi non ragiono neanche…la schiuma nel giro di poco raddoppia e mi ricorda il film Blob, quando “la cosa” esce dal cinema facendo fuggire gli spettatori…la schiuma esce dalla vasca ed avanza per il bagno…Danno per danno la prendo con le mani, l’appoggio sul palmo e la soffio via…meno male che sono sola in casa perché se mi vedesse qualcuno ora mi prenderebbe sicuramente per matta.

Finalmente riesco a riprendere il controllo di tutto, l’acqua è arrivata all’altezza giusta e la schiuma non mi aggredisce più. Prendo la mia foca della Chicco e mi infilo nella vasca. Si…la foca della Chicco, quella che galleggia. Beh cosa c’è di strano, adoro fare il bagno con animali che galleggiano e la foca si diverte da matti con la schiuma che sembra ghiaccio, dentro la vasca. Oddio è la foca o sono io che mi diverto di più…questo non l’ho ancora capito.

Dopo dieci minuti la schiuma ormai sta svanendo e la foca sembra ora in un mare di iceberg che si stanno sciogliendo per l’effetto serra. Adesso è il mio momento. Metto la testa sotto l’acqua e resto ad ascoltare i rumori della casa. Il mio sotto inquilino non ha ancora messo l’olio alla porta della camera da letto, perché il cigolio amplificato dall’acqua mi fa sobbalzare. Sento il mio respiro, i battiti del cuore… mi piace molto, mi sento viva. Tutto sembra più intimo nell’acqua, tutti i rumori sono forti… “gruuup…gruuup”…aiuto chi c’è nella vasca! Il mio stomaco si lamenta, probabilmente inizia ad accusare i morsi della fame.

Non so quanto resto di solito con la testa sotto, forse fin tanto che non mi prende freddo perché l’acqua si sta raffreddando. Ma oggi non ho assolutamente voglia di riemergere e così col piede destro apro il rubinetto dell’acqua calda per riscaldarmi un po’. Quando sento che la temperatura corporea si è ripresa, sempre col piede…”bruciaaaa”…ho appoggiato le dita sul rubinetto bollente…chiudo il tutto. Resto ancora un po’ sotto. La foca offesa perché nessuno la guarda si è fermata in un angolo della vasca e mi dà le spalle. Sento un telefono che squilla…uno, due, tre…dieci squilli…non c’è nessuno, cosa insistono! E’ ora di lavarsi. Verso il sapone liquido sulla spugna e inizio a strizzarla forte per far uscire la schiuma. “Cich”, mi piace sentire il rumore della spugna spremuta, “cich” e così altri minuti preziosi se ne vanno per l’ennesimo gioco nella vasca.

Finalmente riesco a lavarmi senza altre interruzioni. I capelli sono sempre gli ultimi perché prima di risciacquarmi con la doccia infilo per l’ultima volta la testa sott’acqua e ci resto altri minuti. Chiudo gli occhi per assaporare gli ultimi minuti di tranquillità e…”bang” si apre la porta del bagno con tale violenza che sbatte sul bordo della vasca. Salto in aria e rivolgo lo sguardo alla porta. Mio marito mi sorride, con un sorriso che si rivolge di solito al gatto che ha combinato qualche marachella. “Ti ho chiamato prima per dirti che stavo arrivando, meno male che hai tolto le chiavi dalla toppa…”.

Gli rivolgo di rimando il sorriso più birichino che posseggo e mi butto sotto ancora per l’ultima volta…giuro. “Allora eri tu prima, pensavo fosse il telefono del nostro vicino”, ma non mi accorgo che col fatto che non sento le mie parole, sto urlando a squarciagola!

AL PIANO


Mi siedo al pianoforte. Sono anni che non lo suono più, non sarei neanche in grado di leggere le note su uno spartito ma la musica a orecchio è sempre stata il mio forte. Sono un po’ triste ed ho voglia di suonare quella canzone che mi piace tanto. Apro il coperchio e guardo interrogativa i tasti. Appoggio le mani e come per incanto trovo subito l’accordo giusto. Il ritornello mi viene ma, quando mi addentro nella sinfonia della canzone, non riesco a trovare le note. Sento dei passi alle mie spalle leggeri. Mi giro e ti vedo, hai ancora i capelli arruffati dal letto, ma sei bellissimo comunque. Mi fai segno di scivolare più avanti sullo sgabello e ti siedi dietro di me. Appoggi le mani sulla tastiera e le tue braccia stringono le mie spalle. Inizi a suonare il pezzo con molta delicatezza. Io chiudo gli occhi per sentire meglio le note e appoggio la testa indietro sulla tua spalla destra. Continui a suonare baciandomi il collo, non hai certo bisogno di guardare, le tue mani volano sui tasti. Sento gli occhi riempirsi di lacrime ma, non voglio farti vedere che piango e con tutta me stessa respingo le lacrime da dove sono venute. In quel momento tu smetti di suonare, come se avessi avvertito il mio stato d’animo. Mi giro il viso verso di te e mi guardi dritto negli occhi. Le tue dita scivolano sulle mie palpebre le accarezzano, scendono poi verso la mia bocca e il tuo pollice le accarezza passando tutto il contorno. Lo bacio ma non riesco neanche a finire il bacio al tuo dito che tu con passione mi attiri a te e dove un attimo prima c’era il tuo dito, trovo la tua bocca aperta a reclamare un bacio. La tua lingua scivola dentro la mia bocca e trova la mia. Senza staccarti da me mi alzi e mi porti verso la camera. Mi adagi piano sul letto e con la stessa delicatezza ti stendi sopra di me. Inizi a baciarmi il collo, scendi verso le spalle che adesso sono nude perché una tua mano ha slacciato la maglia che avevo. Ti fermi e osservi il mio seno che si alza a ogni respiro che si è fatto più veloce, intenso per il piacere. Me lo baci non dimenticando neanche un centimetro, mentre io ansimo di piacere e le mie mani giocano tra i tuoi capelli. Il mio seno è duro e voglioso e i miei capezzoli lo dimostrano in tutta la loro rigidità. Arrivi con la punta della lingua fino all’ombelico, ci giochi infilandola dentro … poi scendi ed io perdo il controllo di me stessa. Quando ormai il mio piacere è a livelli che non riesco più a controllare mi penetri con tutta la forza e la passione di cui sei capace. I nostri corpi si muovono come in una danza, le mani si cercano, si stringono, si aggrappano. Le mie gambe ti stringono a me, per provare il massimo del piacere. Le bocche si cercano e nel momento del piacere si trovano, in un bacio profondo. Non so quanto restiamo abbracciati a coccolarci. Mi domandi il motivo della mia malinconia ma io non trovo una spiegazione logica e ti sorrido ricordandoti che quella canzone nonostante mi piaccia un sacco, mi rattrista. Mi stacco da te e cerco la mia maglia. Con lo sguardo la vedo buttata ai piedi del letto e allora a pancia sotto cerco di allungarmi e recuperarla. Tu mi blocchi, mi tiri indietro per la vita, mi metti sopra le tue gambe a mo’ di bambina che deve essere sculacciata e inizi a suonare sulla mia schiena. Mi fai il solletico e mi viene da ridere ma tu continui a muovere le tue mani sulla mia schiena come se fossi davanti ad un pianoforte. Quando ormai ho le lacrime che mi scendono dagli occhi per il troppo solletico, ti fermi ti allunghi verso di me e mi baci. Mi guardi negli occhi e mi dici “ho trovato il modo di farti ridere mentre suono, amore mio!”

domenica 5 aprile 2009

UNA MATTINA COME TANTE ALTRE



Come ogni mattina esco da casa, per andare a prendere il treno. Sono le 6.30. E’ ancora buio intorno a me. Mi accendo una sigaretta, faccio un tiro e tengo il fumo in bocca per un po’. Lo lascio uscire con violenza per confonderlo con la nebbia che mi avvolge. Mi guardo in giro. Nel parco vicino casa mia, s’intravedono figure oscure accompagnate da cani già pieni di voglia di vivere nonostante l’ora. Mi dirigo a piedi verso la stazione di Rogoredo. Gli autisti della 95, che fa capolinea lì vicino, sono chiusi nei loro mezzi al riparo dalla frescura mattutina. Gli passo vicino, li guardo e li saluto con la testa. Li vedo tutte le mattine, ormai è quasi un rito. Entro in stazione e mi dirigo subito al binario 3 scendendo nel sottopasso. C’è un vecchio sdraiato per terra che riposa, infagottato nel suo giaccone. Gli cammino vicino e mi fermo qualche secondo per controllare che stia respirando. Non si sa mai, col freddo che c’è di notte. Sto per avvicinarmi di più, quando muove di scatto un piede. Bene, sta sognando. Speriamo che almeno nel sogno se la stia passando meglio. Salgo le scale e mi ritrovo davanti ai soliti volti familiari. Visi stanchi di pendolari. Il treno stranamente è in orario, meglio perché sono un filo infreddolita. Salgo e mi siedo nel primo posto libero che trovo, vicino al finestrino per godermi il panorama delle risaie avvolte dalla nebbia mattutina. Il treno mi mette sempre un po’ di sonno, sarà il suo dondolio e il rumore costante che ricorda quello di un metronomo, che non faccio in tempo ad appoggiare la testa sullo schienale che mi appisolo. Mi sveglio di soprassalto tirata per un braccio. E’ uno di quei volti familiari con cui però non ho mai familiarizzato. Mi avvisa: la prossima stazione è la mia. La mia, la nostra. Già la nostra, perché anche lei viene con me. Facciamo sempre un pezzo di strada insieme usciti dalla stazione, poi le strade si separano. Ognuno con i propri pensieri, ognuno avvolto nel suo torpore.



(racconto presente nell' e-book fatto per i dieci anni di Italians di Severnigni)

CON SE STESSI


Fuori stava nevicando. Mi ero avvicinata alla finestra per vedere ed ero stata costretta a passare una mano sul vetro per togliere l’appannamento che si era formato. Il vetro era freddo e bagnato. In casa il camino scoppiettava allegro, la legna che avevo messo nel pomeriggio bruciava bene e riempiva la stanza di un odore di resina. Guardai il cielo. I fiocchi di neve sembravano galleggiare trasportati dal vento…alcuni sembrava non avessero proprio voglia di arrivare a terra e mi giravano davanti agli occhi. Ci sarà stato già più di mezzo metro sul terreno. Il paesaggio sembrava immacolato, silenzioso, sperso nel tempo, i rumori ovattati. Chissà se sarebbero riusciti a salire alla baita i miei amici il giorno successivo. Girai lo sguardo verso il camino. Che bello che era, tutto in legno con delle panche che ci giravano intorno. Sopra erano appesi dei campanacci, dei corni di cervo e dei rami con vari nodi che avevo trovato l’estate scorsa, mentre andavo a funghi. Sulle panche c’erano già i sacchi a pelo che avevo preparato per gli amici e che avevo messo davanti al fuoco in modo da togliere l’umidità che si era formata dentro in questi mesi di casa chiusa. Avevo anticipato tutti partendo il giorno prima perché dovevo sistemare la baita e portare i primi generi di conforto per il week-end di capodanno. Era iniziato a nevicare, quando ero ancora in paese poi, mentre salivo con la jeep verso la vetta l’intensità era aumentata col passare dei minuti. Arrivata all’ultima curva prima della baita mi ero subito resa conto che entrare in casa sarebbe stato di certo un po’ faticoso. La neve aveva già superato i venti cm e sicuramente avrei dovuto spalare davanti alla porta di legno della baita. Meno male che mio padre sulla jeep aveva sempre il kit di pronto intervento: pale e ascia…male che vada avrei dato un’asciata alla porta di legno e sarei entrata…sì e mio padre me ne avrebbe data una in testa a me dopo! Parcheggiai la jeep nell’ingresso posteriore dove c’era una piccola tettoia che la riparava e cambiatami le scarpe da tennis, che per guidare sono comode anche se avevo i piedi gelati, mi infilai le pedule. Aprii il portellone del bagagliaio che, aprendosi in altezza andò ad urtare contro un pino carico di neve che mi cadde addosso. Mi misi a ridere…ero intenzionata a fare un bel pupazzo di neve dopo, ma non pensavo di certo di farlo con la mia persona! Frugai per cercare una delle pale che ricordavo aver visto a mio padre. Eccola! Ma dove l’aveva presa all’Ikea, era da montare. Mio padre e la mania delle cose che occupano poco spazio! Ogni passo che facevo lasciavo dietro di me un’orma. Beh a pensarci bene io che ho sempre paura a stare da sola poteva essere la mia “salvezza”, la neve. Avrei visto di certo le orme di qualcuno se si fosse avvicinato alla casa. Decisi che sarei tornata alla jeep dopo facendo il percorso inverso, come i gamberi. Spalai il primo mezzo metro davanti alla porta d’ingresso e iniziai così a preparare la base con la neve che avevo accumulato per l’eventuale pupazzo di benvenuto davanti a casa. Finalmente dentro. Ero congelata anche perché i lavori manuali non riesco a farli con i guanti ed allora le mani erano diventate rosse dal freddo. Accesi la luce, il gas aprii l’acqua e decisi che prima di fare una doccia per scaldarmi tanto valeva finire il pupazzo lasciato a metà. Feci allora una palla di neve e come si vede fare da tutti i professionisti…iniziai a farla rotolare per ingrandirla. Peccato che dopo non riuscissi più ad alzarla! Ma che capoccione gli avevo fatto era più grande del corpo… ah ah ah. Lo smussai un poco e riuscii a sollevarlo. Lo appoggiai alla base con tale violenza che a momenti mi si ruppe tutto. Riuscii a ricucire i pezzi. Mi allontanai per guardare le proporzioni, era perfetto. Mancava il tocco finale. La vestizione. Con una pigna gli feci il naso. Dei rami corti di pino li usai per la bocca bella allegra in segno di benvenuto. Trovai per terra dei legnetti che usai per fare le dita delle mani…beh sembrava fossero un po’ rachitiche, ma non stiamo a guardare il particolare. Mancava ancora qualcosa. Sembrava spento, senza vita. Certo gli occhi. Gli feci due buchi con le dita e gli infilai dentro due sassi che avevo spostato con la pala, mentre pulivo l’ingresso. Ecco adesso era perfetto, dovevo solo trovargli un nome appropriato, beh appropriato un nome che mi piacesse, diciamo. Poldo era perfetto. A guardarlo meglio, infatti, assomigliava al personaggio amico di Braccio di Ferro che mangiava gli hamburger…aveva sicuramente la stessa pancia gonfia! Finalmente potevo andare a farmi una bella doccia calda, anche perché se stavo fuori ancora pochi minuti senza guanti potevo dare le mie di mani a Poldo perché si sarebbero staccate da me. Mi tolsi gli scarponcini all’ingresso e li misi vicino alla stufetta e mi infilai gli zoccoli di pelo che mi piacevano tanto. Erano gli unici zoccoli che mettevo solo per il fatto che mi facevano ridere e pensare alle zampe di un fauno, perchè non sono capace di camminare con gli zoccoli, arriccio il piede per paura di perderli ad ogni passo e così alla fine della giornata mi fa male tutta la gamba che è stata in tensione. Andai al piano di sopra dove c’era il bagno facendo un rumore a salire le scale con gli zoccoli insopportabile. Mi fermai a guardare di sotto. Che bella che era questa baita. Tutta in legno intarsiato, foto di animali ovunque accogliente calda, calda di un calore umano, perché arredata di buon gusto da mia mamma che amava la montagna e quindi era piena di ricordi montanari. Un vecchio scarpone trovato in una passeggiata sul monte Scorluzzo in mezzo a trincee ottimamente conservate della Prima Guerra Mondiale, la testa del rastrello che aveva imboscato mia mamma dopo averlo trovato vicino ad una fattoria, perché le piaceva. Ricordo ancora la faccia di mio padre che la guardò come se avesse rubato un lingotto d’oro. Sulle mensole vicino al camino c’era la collezione di boccali di birra presi nei vari viaggi in Germania e Austria, quelli con il tappo di peltro. Da piccola ne avevo rotto una accidentalmente, ero intenzionata a ricomprarne uno simile ma quando mi dissero cosa costava a momenti svenivo. Andai allora da mio padre che mi diede i soldi e rimisi il boccale al suo posto senza dire niente a mia madre. La doccia mi fece bene, avevo ritrovato le energie. Ritornai al piano di sotto, facendo un tale baccano che decisi di camminare a piedi nudi con due paia di calzettoni. Guardai fuori, stava imbrunendo e non smetteva di nevicare. Avevo anche un leggero appetito e mi preparai un panino con speck e formaggio. Svuotai i sacchetti della spesa del week-end e sistemai le vettovaglie negli scaffali: piatti, bicchieri, tovaglioli, posate, tutto era di plastica così nessuno di noi avrebbe lavato e sistemato dopo aver fatto baldoria. Un rumore in casa mi fece andare il cuore in gola. Cosa poteva essere stato! Ero indecisa sul da farsi, andare di là a controllare o restare immobile in cucina senza respirare. Andai a controllare, anche perché se veramente ci fosse stato qualcuno sapeva che in casa c’era gente…anzi io. Era un ciocco di legno che era caduto dal camino…tirai un sospiro di sollievo! Ma chi me lo aveva fatto fare di venire su da sola in baita a sistemare, io che non sopportavo la solitudine e paurosa come sono. Mi sedetti vicino al camino e sistemai la legna. C’era troppo silenzio per i miei gusti. Accesi della musica a volume basso per creare un piacevole sottofondo e per rilassarmi un po’. Rimasi seduta a guardare il fuoco. Sembrava che le fiamme volessero trovare una propria strada per liberarsi, l’una dall’altra, giocavano ad allontanarsi e subito dopo si riunivano in una grande lingua. I colori cambiavano dal rosso, blu, bianco, arancio, a secondo della prospettiva da cui lo osservavo. Mi assopii. Quando mi svegliai mi resi conto che fuori ormai era buio, e mi avvicinai alla finestra per controllare che tempo c’era. La mia prima giornata da sola stava per terminare. Silenzio e neve ovunque guardassi. Poldo ormai era diventato il doppio di come lo avevo lasciato dalla neve che gli era caduta su. Se fosse continuato a nevicare tutta la notte, l’indomani avrei trovato un gigante al suo posto. Mi asciugai la mano che si era bagnata nel pulire il vetro e rimasi ad osservare il paesaggio che mi si parava davanti. I rami dei pini erano piegati per il troppo carico di neve che dovevano sopportare. Le mie impronte fatte nel pomeriggio non si vedevano quasi più, ormai erano state riempite dalla nuova neve caduta. Le luci della seggiovia che arrivava a qualche centinaio di metri dalla baita creavano delle ombre strane intorno…o era la mia mente che le creava strane per la mia solita paura! Chiusi le imposte per sentirmi più sicura e mi diressi verso la cucina, decisa a prepararmi una camomilla. Forse era il caso di correggerla con qualcosa di forte così sarei riuscita a riposare meglio ed a non pensare, mi dissi! La legna del camino ormai era ridotta a brace, ancora poco e si sarebbe spento definitivamente ed io sarei potuta andare a letto dentro al mio sacco a pelo mummia, quello che usava mio padre nel periodo del militare nei campi invernali ad Asiago. Ti infilavi dentro chiudevi la lampo tiravi sul il cappuccio ed eri intrappolato per sempre…se dovevi girarti nel letto, lo dovevi fare insieme al sacco facendo un pel salto! Mi spogliai alla velocità della luce, perché la stanza non era così riscaldata come il piano sotto che col camino aveva raggiunto una notevole temperatura, mi infilai un bel pigiama pesante …molto sexy… pensai e mi infilai nel sacco. Rimasi in ascolto del silenzio. Se uno è paranoico come me, i rumori spaventano ma il troppo silenzio terrorizza! Ecco un rumore, uno scricchiolio, un ticchettio…la casa è di legno, saranno di certo i rumori di assestamento. Calmati, pensa a quanto è bello essere qui fuori dalla confusione della città. I tuoi amici sono ancora al lavoro e tu sei già in vacanza. Fuori nevica, tu adori la neve. Poldo sta sorvegliando l’ingresso e sicuramente farà funzione di spaventapasseri o spaventa persone…Chi vuoi che si muova per i monti con una tormenta di neve. Sì, brava tutte cose logiche ma la logica non calma la mia mente. Accendo la luce per vedere se ho chiuso la porta della camera, ma non contenta decido di chiuderla anche a chiave. No, devo riaprire la mummia! Va beh mi alzo e saltello fino a li…tanto sono quattro passi. I miei salti fanno tremare il pavimento, se qualcuno mi vedesse ora mi prenderebbe sicuramente per matta. In quattro balzi “delicati” arrivo alla porta, abbasso velocemente la cerniera, tiro fuori la mano e chiudo la serratura. Quattro balzi e sono di nuovo sul letto. Sono tutta sudata dalla fatica così apro un po’ la chiusura del sacco. Devo cercare di rilassarmi, più che altro devo cercare di far in modo che le mie paure non prendano il sopravvento. Mi sdraio e respiro profondamente penso alla neve che soffice cade fuori e la vedo sempre più lontana e la sento sempre meno fredda e…finalmente mi addormento. La mattina mi sveglio presto e con piacere mi accorgo che ho riposato. Apro le imposte e noto che ha smesso di nevicare ma sicuramente lo ha fatto da poco perché tutto è coperto di bianco. Il povero Poldo è irriconoscibile…altro che dare il benvenuto, così conciato li fa scappare tutti i miei ospiti. Mi infilo una tuta di pile e scendo a farmi un caffè. Decido di riaccendere il fuoco prima di uscire così la temperatura si rialza e stasera quando arriveranno i miei amici non avranno freddo. Mi affaccio alla porta e sorrido al pupazzo. Povero, che brutta cera che hai. Il naso è crollato a terra e le dita delle mani sembrano dei salsicciotti da quanta neve hanno su. Mi infilo le pedule ed esco. Guardo il cielo è azzurro ed il sole è ancora dietro la montagna. Ormai non dovrebbe più nevicare, così riprendo la pala e pulisco di nuovo l’entrata e già che ci sono faccio anche tutto il vialetto d’ingresso, così almeno è più semplice camminare. Il sole sbuca da dietro il monte ed illumina la casa. Il paesaggio è splendido, la neve brilla toccata dai raggi solari. Mi bruciano gli occhi da quanto bianco c’è intorno. Corro dentro a prendere la macchina fotografica e inizio a scattare tutto ciò che mi piace e mi crea emozione: il pino pieno di neve, Poldo in condizioni disastrose che sembra un viandante in cerca di un posto caldo dove passare la notte, le nuvole che disegnano figure varie in cielo e dei corvi che zampettano sulla neve in cerca di qualcosa da mangiare. Decido di farmi anche un autoscatto. Posiziono la macchina sul muretto, pigio e corro in mezzo alla neve ridendo da sola. Mi sono sempre divertiti gli autoscatti, penso siano le foto più belle e sincere. La mattina passa veloce perché tra rifare il trucco al pupazzo, spalare e fotografare il tempo vola. Mancano poche ore e la quiete della montagna sarà squarciata dall’arrivo degli amici. Mamma che fame che mi è venuta! Chissà perché la montagna a me fa sempre venire fame. Devo restare leggera poi stasera pasticceremo e berremo di certo, così decido che un bel piatto di bresaola fa al caso mio. Poi non so come mai finiscono sopra anche un po’ di rucola, grana a scaglie e dei funghetti sott’olio. Ma sì, è più buono così. E adesso cosa faccio fino a stasera, ho già messo in ordine, pulito, acceso il camino e preparato il giaciglio per tutti. In lontananza si sente il vociare degli sciatori. E’ da una decina di anni che non metto su un paio di sci, mi piacerebbe riprendere ma considerato che l’ultima volta ho fatto un bel trauma cranico perché sono una incosciente….forse è meglio darsi allo sci di fondo o ad una bella ciaspolata. A proposito di ciaspole, le ho dietro in macchina, adesso le metto e vado a fare un giretto fino alle piste da sci. Mi cambio al volo e mi infilo l’attrezzatura. Mi porto dietro anche uno zaino con acqua, cioccolato…non si sa mai un calo di zuccheri e la mia immancabile macchina fotografica. Racchette nelle mani, zaino in spalla e op op …parto in salita. Cento metri e sono già con la lingua che arriva ai piedi. Meno male che vado sempre in palestra a tenermi in allenamento!!! Proseguo più lentamente così mi godo il paesaggio in mezzo al bosco. I cespugli che d’estate sono piene di mirtilli non sono neanche distinguibili dalla neve che hanno sopra. Il sentiero che di solito faccio quasi ad occhi chiusi, non lo riconosco più…ho perso tutti i miei punti di riferimento con tutto questo bianco. Ci sono un sacco di orme sulla neve da quelle di qualche volatile a quelle di animale che non conosco: cervi, daini, stambecchi…per me hanno tutti gli stessi zoccoli. Il sole crea una bellissima luce filtrando nel bosco e così mi fermo a fotografare. E già che ci sono mi mangio un pezzetto di cioccolato per riprendermi dalla fatica. Arrivo sul pianoro dove si vedono le piste e visto che sono in pieno sole e la neve è battuta mi siedo per terra e mi metto a prendere un po’ di sole. Mi sistemo lo zaino dietro la testa e mi sdraio così sono più comoda e…mi assopisco. Che freddo che c’è! Mi sveglia il freddo, il sole sta sparendo dietro la montagna e la luce tutto intorno è cambiata. Prima di rimettermi in marcia per il ritorno scatto ancora un paio di foto…di cui una, un altro autoscatto per testimoniare la mia scampagnata. La discesa è più veloce e leggera. In mezzora sono all’imbocco del vialetto di casa. Ho giusto il tempo di farmi una doccia calda e rimettere su qualche ciocco di legno prima dell’arrivo dei festanti. Mollo tutto all’entrata e mi sbatto sotto la doccia. Ah che bella calda…mi lascio cadere il getto dietro le spalle e sulla testa. Non so quanto tempo resto sotto…ecco non avrò mica fatto fuori tutta l’acqua della caldaia…cavolo! Mi asciugo velocemente perché mi rendo conto che è già tardi e tra poco non sarò più sola. Se devo essere onesta un po’ mi dispiace avevo trovato la mia anima solitaria in queste poche ore, da un lato sono contenta perché stanotte avrò compagnia. Mi vesto un po’ più elegante di come ero precedentemente, in fin dei conti sono sempre la padrona di casa, devo avere un bell’aspetto. Guardo fuori e mi rendo conto che ormai sta diventando buio ma è così sereno e la neve così bianca che sembra ancora più chiaro di quanto sia, il cielo. Sento in lontananza dei rumori di macchina…si stanno avvicinando, eccoli sono a pochi metri li vedo sbucare dall’ultima curva, i fari mi illuminano. Gli corro incontro, mi vedono e iniziano a suonare il clacson in segno di saluto. Ecco è finita la quiete! Li faccio entrare con le jeep davanti alla baita per scaricare le provviste. Scendono tutti ed iniziamo a salutarci ad abbracciarci come se non ci vedessimo chissà da quanto tempo. Qualcuno commenta sulla bruttezza di Poldo ed io l’invito a tornare a casa sua! Mi giro e vedo le provviste per il week-end. Ma quanta roba hanno portato sembra che dobbiamo restare per un mese. E quanto alcool…meno male che siamo isolati così nessuno potrà vedere le condizioni in cui ci ridurremo. Sento da fuori i commenti sulla bellezza della baita e ciò mi fa molto piacere. Tutti ormai sono dentro ma io resto ancora qualche secondo fuori ad osservare la quiete che fino a poco fa mi ha tenuto compagnia. Sorrido ancora una volta al povero Poldo bistrattato da tutti e mi chiudo la porta alle spalle. Entro in casa e mi dirigo verso gli amici che mi aspettano già con un bicchiere di vino rosso in mano. Ho la netta sensazione che sarà un lungo week-end…non di paura certo …ma di grande baldoria! Sorrido a tutti e mi butto nella mischia!

L'ALTALENA


Esco da casa, non sopporto quest’atmosfera pesante che si respira. Non ho una meta precisa, ma ho voglia di distrarmi. Camminare mi ha sempre fatto bene. Lascio che siano i miei piedi e gli occhi a condurmi dove più li spiri. Faccio qualche passo e mi ritrovo subito in una via silenziosa, mi guardo intorno, il vuoto. Lo stesso vuoto che mi sento dentro. Non conosco questa strada e mi va bene così, anche le cose conosciute alcune volte ti deludono, quindi dal nuovo non mi aspetto niente di più di quello che sarà in grado di darmi.

Il marciapiede è tutto rotto e sporco. La strada non sembra neanche asfaltata, c’è della sabbia mista a sassolini, è piena di buche ricoperte d’acqua per la pioggia dei giorni precedenti. Le evito, anche se la voglia sarebbe di passarci dentro con le scarpe. Proseguo dritta davanti a me. Mi sembra di intravedere un parco. Ma dove è sparita la gente … sembra che tutti sappiano che io devo essere lasciata sola quando sono giù. Scavalco una staccionata, perché non ho voglia di scovare l’entrata. L’erba è ancora umida. Faccio dei passi e mi fermo nel mezzo del parco. Giro su me stessa di trecento sessanta gradi ma tutto intorno, parla di abbandono. Intravedo un’altalena che spinta dal vento si muove da sola, scricchiolando. Mi sono sempre piaciute le altalene, e poi in questo momento sembra che stia proprio aspettando me. Lì da sola, a riposo dalle sue funzioni e anche malconcia. A pensarci bene un po’ mi assomiglia. Qui da sola, lontano da tutti e quindi a riposo dalle responsabilità e dalle maschere che indosso durante la giornata. Malconcia anch’io dentro, la parte di me meno visibile. Mi siedo e mi bagno i pantaloni. Inizio a dondolarmi da destra a sinistra, tenendo però i piedi ancora attaccati al terreno. Voglio sentirla dentro di me. Voglio percepire la sua anima e quando finalmente lei si sarà lasciata comandare, prenderò il volo! Metto le mani sulle corde e inizio a spingermi con i piedi. Piano piano, lascio che il vento gelato mi raffreddi la faccia. Accelero sempre di più. Mi accorgo che dal laterale degli occhi mi scendono delle lacrime. Sarà sicuramente il freddo. Mi fermo di botto perché non vedo più niente. Le lacrime mi stanno offuscando tutto e le mie mani non riescono più a tenere le corde dai sussulti che faccio. Piango, non so per quanto. Quando finalmente ritorno in me, mi accorgo che sono più tranquilla, anche se mi sento come un gommone che si è sgonfiato, dopo essere esploso. Anche l’altalena che prima a ogni passaggio del seggiolino indietro cigolava, ha smesso di lamentarsi. Mi do una spinta e riprendo la corsa. A ogni spinta mi sento meglio e l’altalena sotto di me, ubbidisce ai miei ordini. Ormai le nostre anime sono una cosa sola. Io rido come una bambina divertita dalla situazione, e anche lei non piange più, sembra aver trovato la forza di un tempo. Scendo con un salto, mi giro e la guardo. Va avanti a dondolare da sola ancora per alcuni minuti … fino a quando non si ferma. Resto immobile e la osservo. Tutte due abbiamo pianto e abbiamo trovato l’ impulso giusta per andare avanti … io nel mio cammino quotidiano lei nel suo dondolio. Avanti, indietro. Sì la vita è così, tu forse lo sapevi anche prima di me. Non sei tu che ti sei impossessata della mia anima, ma io della tua, tu lo sapevi! Avanti, indietro. Oggi sono andata indietro ma domani tornerò avanti!