giovedì 30 settembre 2010

la seconda tappa....


La mattina seguente imposto la nuova destinazione. Non abbiamo da fare troppi kilometri, andiamo sopra Linz a Bad Leonfelden, nell’unico albergo che ho prenotato prima di partire perché saranno quattro giorni di relax. Ci facciamo tutta l’autostrada fino a Linz e poi una trentina di km salendo in mezzo alle colline, al verde e mucche ai lati della strada. Il panorama è molto bello. Arriviamo con un’ora di anticipo sul check in per avere la camera, quindi decidiamo di andare a fare un giretto in repubblica Ceca, che dista solo 6 km. Ci rintoneremo due giorni dopo per visitare un paesino patrimonio dell’Unesco. Alle due spaccate, ci ripresentiamo alla reception dell’albergo col sorriso stampato sul viso. Finalmente si possono smontare le valigie. Quattro giorno nello stesso posto! Prendo i miei vestiti e li butto letteralmente dentro l’armadio e dopo un secondo indosso già il costume. L’albergo ha una piscina all’aperto e una parte interna con sauna, bagno turco e zona relax. Guardo Antonio ed è ancora vestito. Sta sistemando i suoi vestiti dentro l’armadio. Camicie da una parte, magliette da un’altra, mutande calze … guardo il lato del mio armadio ed è tutto appallottolato. Ok abbiamo due caratteri diversi. Sente i miei occhi che lo fissano, si gira e mi guarda: “sei già pronta?” Indosso l’accappatoio dato dall’albergo con il nostro numero di camera attaccato ad una spilla rotonda, che mi ricorda molto le spille che usavo quando andavo a scuola e che attaccavo sui giacconi. Dopo poco, è pronto anche lui. Mi sento a disagio camminare per il corridoi in accappatoio, ma incontriamo altra gente e così mi rilasso. Prendiamo l’ascensore e scendiamo alla reception dove c’è l’accesso alla zona piscina. Prendiamo il posto sulle sdraio e finalmente ci rilassiamo. Ora si che mi sento in vacanza, penso stando sdraiata nell’idromassaggio guardando il panorama intorno. Ma a chi sarà mai venuto in mente di costruire un albergo termale in questo posto, a 6 km dalla repubblica Ceca e alle porte della famosa foresta Boema. Beh chiunque sia stato, è un genio! Antonio sta già dormendo, sulla sua sdraio. Beato lui, riesce a dormire ovunque. Quando si sveglia col mal di collo, decidiamo di andare a visitare la parte termale. Faccio per scendere gli scalini e resto sorpresa dal cartello che c’è appeso sopra la porta a vetri smerigliato. Vietato l’ingresso ai minori di 16 anni. Cosa ci sarà mai di là, mi domando. Non faccio neanche in tempo ad entrare che mi si para davanti un signore che scorrazza tutto nudo per le stanza. Mi tornano così in mente le parole di mio padre: “ Ah ricordati che in Austria, nelle terme si va tutti nudi”. Aveva ragione. Mi guardo in giro e vedo che dentro la sauna ci sono donne “spiaggiate” che si rilassano. Gli uomini invece stanno seduti a gambe aperte, quasi fieri delle loro virilità. Usciamo e decidiamo di fare un punto della situazione: se nudi sono … nudi saremo! Ci infiliamo il costume nella tasca dell’accappatoio e via … come mamma ci ha fatti. Alla fine non è poi così tanto male. Si, certo ti senti osservato, forse per i primi 10 minuti ma non nego che anche io mi sono messa a fare il punto della situazione. Nella mia mente risuonavano applausi per uomini dai bei fisici … diciamo così, a sorrisi nel vedere come delle persone non perfette, anzi magari molto sovrappeso, fossero a loro agio nel camminare a testa alta, nude. Anche a me avranno fatto gli stessi raggi x, che ho fatto io agli atri. La cosa simpatica se non ridicola, era che ogni giorno verso le 16 circa ci si ritrovava tutti nella zona termale, dopo aver passato la giornata in giro per cittadine o dopo passeggiate nei boschi, tutti nudi. La sera però, ci si rivedeva al ristorante tutti in tiro. Mi mancano molte quelle due orette, non solo per il fatto del relax e il non pensare a niente, ma penso che alla fine mi manchi proprio il fatto di andare in giro nudi. Tutto uguali, senza vestiti senza maschere. Penso che mi sia servita molto questa piccola esperienza. Non ho un fisico da modella, ho i miei difetti e a volte mi faccio anche della piccole paranoie. Ho una brutta cicatrice che mi taglia in verticale la pancia per colpa di vari interventi subiti, col costume si vede poca ma li, tutti potevano notarla. Ma non ero la sola … più mi guardavo in giro e più vedevo che i problemi e i difetti tutti li avevono. Facevo parte della massa, e loro erano uguali a me. Come ho accennato sopra, nei giorni che siamo rimasti qui, abbiamo fatto due gite. Una a Linz, città della cultura Europea 2009 e l’altra a Český Krumlov, inserita nell’elenco mondiale del patrimonio dell’Unesco. Appena si passa il confine Ceco, si costeggia la Moldava, fiume che scorre intermante in tutto lo stato. AI lato del fiume, tutto è stato creato per la gioia dei canottieri. Viaggiare sul fiume in raft e nelle canoe rappresenta uno dei maggiori richiami sportivi della regione. E‘ possibile noleggiare direttamente nelle varie città le canoe e chiedere il servizio di trasporto e di rientro dal luogo di arrivo in canoa. Esiste un bel percorso, adatto anche ai canoisti meno esperti, che dura circa 4 ore fino a Zlatá Koruna. Mentre Antonio guidava per arrivare a Český Krumlov, io mi sono goduta lo spettacolo. Centinaia e centinaia di canoe e gommoni che scendevano il fiume. Ai lati, tende, rinfreschi, gente che giocava, che mangiava e che si divertiva con poco. Che voglia di provare. La cittadina è veramente deliziosa. Abbiamo visitato i vari punti più belli per fermarci insieme a tutti i turisti sui vari ponti della città, che viene tagliata due volte dalla Moldava, a ridere e fotografare i ragazzi che scendevano le cascatelle e rapide, e si rovesciavano perdendo la canoa. La cosa più simpatica era che si aiutavano l’un l’atro. Chi era riuscito a passare indenne la cascata, aspettava sotto il passaggio del prossimo e lo aiutava in caso di rovesciamento. Più li guardavo e più mi saliva la voglia di provare. Della gita a Linz invece ricordo l’impressione di vedere per la prima volta il Danubio. Purtroppo i quattro giorni sono passati velocemente ed il venerdì ci siamo rimessi in macchina alla volta di Vienna, con previsioni del tempo che davano brutto e freddo.

lunedì 6 settembre 2010

Il primo giorno di vacanza....


Sono le 5:58 quando spengo la sveglia. Antonio mi sente e mi chiede l’ora. “E’ ora di alzarsi”, gli dico e tiro indietro il lenzuolo arrotolato sotto il mio sedere per il caldo. Abbiamo deciso di svegliarci presto, ieri sera, perché oggi è dato bollino nero in autostrada. Non ho pressoché dormito niente stanotte, non è una novità per me, prima di una partenza passo sempre la notte a controllare la sveglia per paura che non suoni. Vado in bagno, guardo fuori per vedere se la città dorme ancora o se tutti hanno avuto la nostra idea, partire presto. Nella via più di passaggio, ne passano due. Milano dorme ancora. Vado in cucina e preparo la colazione. Ho la nausea non ho voglia di prendere niente ma mi costringo a mangiare almeno due biscotti, il viaggio è lungo e non so quando metterò sotto i denti altro cibo. In poco tempo siamo pronti. Faccio il giro di casa per vedere se tutto è chiuso e non abbiamo dimenticato niente. Ci tocca solo caricare le valigie in macchina e finalmente partire per il nostro tour europeo. L’anno scorso avevamo fatto una crociera, quest’anno ce la facciamo in macchina; capitali europee ed Europa dell’est. Fortunatamente le valige stanno tutte nel bagagliaio. Una sacca a testa, la valigia delle scarpe, medicine, due zaini il computer portatile e tutta la mia attrezzatura per la macchina fotografica. Beh in fin dei conti stiamo via due settimane, passando da una città all’altra, da un albergo all’altro. Mentre usciamo dalla rampa del box, imposto il Tom Tom sulla prima meta: Salisburgo, 580 km e sei ore di viaggio se va tutto bene. Peccato che dobbiamo fare il Brennero e li, non saremo certo gli unici. Mentalmente mi dico che se perderemo un’ora sulla tabella di marcia, ci andrà alla grande. In tangenziale non c’è quasi nessuno e così nel primo tratto, fino a Bergamo. Guardo Antonio di sottecchi e mi accorgo che gli si chiudono gli occhi. “Vuoi che guidi io?” non mi risponde ma, fa cenno di no con la testa. Il sole è proprio davanti a noi e da fastidio, non riesco a regolare il parasole in una posizione in cui non mi disturbi. I cartelli segnaletici stradali danno code a tratti verso Verona. Meno male che noi deviamo prima. Ad un certo punto, Maffy, il nome che ho dato al Tom Tom, rompe il nostro silenzio, dicendo che di li a poco dobbiamo uscire dall’autostrada. Guardo Antonio interdetta, perché l’ultima volta che avevamo preso per il Brennero non eravamo usciti lì. “Maffy che cavolo dici, non mi sbagliar strada proprio all’inizio!” Le ringhio. “Tra 600 metri tenere la destra e uscire dall’autostrada, proseguire, alla rotonda terza uscita”. Antonio mi guarda, ma leggo nei suoi occhi la domanda su cosa fare. “Ok non sarà diventata matta tutta in un colpo, usciamo”. Seguiamo le sue indicazioni e ci porta sulla Affi, la strada che collega Peschiera all’entrata dell’autostrada A22 del Brennero. Mi scuso con essa, per aver messo in dubbio il suo operato e mi godo il panorama. Che verde e quanti vigneti! Non faccio a tempo a pensare che per ora sta andando tutto bene, che le macchine davanti a noi, si fermano. Manca un kilometro e mezzo all’entrata dell’autostrada e c’è coda. Perdiamo venti minuti ma alla fine siamo sulla A22. C’è traffico ma si va. Avendo cambiato direzione di marcia, mi ritrovo il sole in pieno viso sulla destra. Che noia questo sole. Facciamo ancora qualche km e Antonio decide di fermarsi per prendere un caffè. Io ne approfitto per andare in bagno. La coda per entrare, arriva quasi al distributore di benzina. Nei bagni degli uomini nessuno, in quello delle donne, il delirio. Mi rassegno e mi metto in coda. Quando arriva Antonio, dopo essersi preso un caffè ed una brioche, sono ancora a metà. Lui entra, fa quello che deve fare e nell’uscire dice che mi aspetta in macchina, di fare pure con comodo. Per forza! Scopro solo quando finalmente riesco ad entrare, che funzionano solo due bagni su cinque. Lasciamo perdere le condizioni dei due bagni. Riprendiamo il cammino. La prossima sosta è obbligata; prendere la vignetta per l’autostrada austriaca per nove giorni. Austria, finalmente siamo in Austria. Ora sì che mi sembra veramente di essere in vacanza. Il paesaggio è bellissimo, un verde che cattura e che rilassa. “Ora non dovremmo più trovare casino” dice Antonio. Sono cose che si pensano ma non si dovrebbero mai dire. Dopo poco ci fermiamo perché stanno rifacendo il manto stradale e quindi siamo in coda per andare sull’altra carreggiata. Scoppio a ridere. Intanto mando degli sms a casa per avvisare che stiamo giungendo alla meta. Di fianco a noi, si ferma una vecchia Ferrari che fa un casino pazzesco. Il guidatore, in questo caso sarò carina e non dico tutte le cose che gli ho detto urlato in macchina, ogni volta che deve ripartire, fa delle accelerate come se fosse alla partenza di un gran premio. Ci accompagna per un grande tratto di coda. Alla fine, lo perdiamo perché al primo distributore ci fermiamo a fare rifornimento, ormai sull’orlo di una crisi di nervi … almeno io. La benzina più cara, che abbiamo fatto lungo tutto il viaggio. Ladri! Passiamo Innsbruck, oramai non manca molto. Arriviamo a Salisburgo per ora di pranzo. Ora dobbiamo trovare il punto informazioni per prendere una stanza per due giorni. Ci dirigiamo verso il centro e iniziamo a girellare per le vie con la macchina. Sali di qui, scendi di qua. Torna indietro, di li si esce. Ripassa di la. Dopo mezz’ora che giriamo a vanvera non ne posso più. Consiglio di chiedere a qualcuno. Devo averlo detto più di una volta e in poco tempo, perché alla fine Antonio si ferma su un marciapiede e va a chiedere ad un baracchino per i tour in pullman. La signorina, per niente simpatica gli indica la stazione ferroviaria. Parcheggiamo dietro alla macchina della polizia nel piazzale. Nel parco ci sono barboni che si tagliano i capelli a vicenda. Attraversiamo e entriamo nell’ufficio. Lascio parlare Antonio perché io sono un po’ impedita con le lingue; chiede se c’è disponibilità di una camera abbastanza in centro, per due notti. La ragazza, molto gentile e disponibile ci dice che da due giorni è iniziato a Salisburgo il festival della musica classica e che quindi non ci sono molte camere disponibili. Io comprendo tutto quello che lei dice. Cosa mi è successo, per la prima volta in vita mia sto ascoltando una che parla in inglese capendo e cercando di parlare a mia volta! Ci propone un albergo a 10 minuti a piedi dal centro e noi lo prendiamo, anche perché le altre soluzioni sono lontanissime e bisogna usare la macchina. Ora mi spiego perché quando guardavo in internet le varie disponibilità di alloggio nelle varie città, a Salisburgo ce ne erano pochissime. E chi andava a pensare al festival! Imposto Maffy sulla via dell’albergo e in pochissimo ci arriviamo. Camera 202. Entriamo. A momenti è più grossa di casa nostra. Aperta la porta, c’è un corridoio con un armadio, scoprirò solo la sera che dentro c’è una cucina. Poi si entra nella camera, enorme con un bow-window carinissimo. Più spazio si ha e più ci si allarga. Molliamo le valigie in ogni punto della stanza. Ci facciamo una doccia veloce e ci cambiamo. Prendo lo zaino della macchina fotografica e sono pronta per iniziare la mia vacanza e reportage fotografico. A Salisburgo ci sono stata quando ero piccolina ma, onestamente non me la ricordo per niente. Attraversiamo il ponte e siamo già pressoché in centro. C’è un bellissimo bar con ombrelloni che ci attira. Ci guardiamo e pressoché all’unisono ci sediamo in un tavolino. Ma che ore sono? Tiro fuori il cellulare e guardo: le quattro e mezza. Beh una merenda ci sta, in fin dei conti è da stamattina che non tocco cibo. Prendiamo la lista e ordiniamo un panino con carne e chili, tanto per restar leggeri. Finito il nostro spuntino ci buttiamo satolli, nelle vie principali. Salisburgo non è grande, quindi dopo poco abbiamo girato quasi tutto il centro della parte bassa. L’alta, decidiamo di lasciarcela per l’indomani. C’è già gente vestita per l’opera che si aggira per le vie. Che eleganza! Musicisti che camminano con le custodie degli strumenti sulle spalle. Spalti ovunque e maxi schermi nella piazza principale. Tutto ruota intorno al famoso festival. Ne sono affascinata. Ripassiamo al di là del fiume Salzach e percorriamo le vie che riportano al nostro albergo. C’è un bellissimo giardino proprio prima, il giardino barocco del castello Mirabell. Lo giriamo quasi tutto affascinati dai fiori e dalle fontane e dopo poco siamo in camera, non prima di aver chiesto la password per la linea wireless alla hostess. Ci sta prendendo un filo di stanchezza. Ci buttiamo sotto i piumoni per fare un riposino. Penso di aver riposato 5 minuti di orologio, poi ho iniziato a sbuffare per il caldo e cambiare posizione ogni secondo. Alla fine mi sono alzata ed ho acceso il PC. Ma che cavolo di presa hanno in Austria? Due buchi e la mia presa del PC è di tre. Prima di partire per questo viaggio ho pensato veramente a tutto ma non mi è venuto in mente di vedere le prese che c’erano. Scopro con mio sconforto che in tutta la camera le prese sono a due buchi. Va beh ora lo userò con la batteria, poi quando scendo chiedo se hanno un adattatore. Mi collego in internet con la password datami e scrivo ai miei che stiamo bene, che abbiamo internet e che se tutto va bene ci sentiremo così durante il viaggio, con resoconto di fine giornata. La linea è un po’ limitata, cade più volte ma non mi lamento. Scarico le foto fatte e chiudo perché non voglio fare fuori la batteria. Si sono fatte le sette e mezza e ci vestiamo. Quando siamo fuori le luci del tramonto stanno facendo capolino. La città acquista ancor più fascino. Si stanno accendendo le luci e tutto diventa magico. Ritorniamo in centro. Davanti all’Opera sta uscendo un sacco di gente, ma non capisco se sia finito lo spettacolo e sia la fine del primo tempo. Ci dirigiamo nella piazza centrale. Il maxi schermo è acceso e stanno trasmettendo La Traviata di Giuseppe Verdi. Restiamo per una ventina di minuti anche noi a sentirla ma onestamente non conoscendo molto l’opera, anche se so di cosa tratta, mi viene a noia e inizio a fotografare nel buio la gente che è li a guardare. Non ne posso più di Alfredo (per chi non lo sapesse, fra i passaggi più popolari dell’opera c’è l’invocazione di Violetta “Amami, Alfredo”) … guardo Antonio e gli faccio segno di andare. Sono le nove e mezza passate. Mi dice che lui non ha fame ha ancora il chili sullo stomaco. Va beh allora non mangio neanche io. Girellando però, passiamo davanti ad un baracchino che fa hot dog e presa da gola, ebbene si solo la mia gola, me ne mangio uno. Penso di averlo digerito poi al mattino dopo. Stanchi della giornata ci incamminiamo verso casa, si perché oramai il nostro albergo è diventata la nostra casa per due giorni. Ci spogliamo, ci infiliamo sotto al piumone e neanche il tempo di riempire la camera di pecore, che stiamo già dormendo. La sveglia suona, ma stavolta sono le otto e mezza. Guardo il mio lato del letto e guardo quello di Antonio. Il suo, sembra sia passata da poco la donna delle pulizie: il piumone non si è mosso di un millimetro. La mia: i piedi sono fuori ed è tutto sottosopra. Il lato corto è finito dovrebbe esserci quello lungo. Ok ho avuto caldo stanotte! Scendiamo per la colazione ed io decido che assaggerò anche il salato. Così dopo il mio classico latte freddo e cereali, mi sbaffo il wuster, fatto a fetta e lo speck con il pane nero. Effettivamente non è male finire con la bocca salata, la colazione, al posto del dolce. Il wuster della colazione si va a scontrare con quello della sera, così per tutto il giorno, mi maledico. Oggi è la giornata della fortezza di Salisburgo, quindi entriamo nella stazione per prendere la funicolare che porta su. La si può fare tranquillamente anche a piedi ma è suggestivo prenderla e comunque nel biglietto è compresa la visita alle sale principali della fortezza, alla torre di avvistamento e ai vari musei che ci sono. Il biglietto costa veramente poco per quello che da. In pochissimo siamo su, anche perché il tragitto è veramente corto. Da su la vista è spettacolare. Si vede tutta Salisburgo. Nel cielo non c’è una nuvola. Mi guardo in giro. Questa fortezza medioevale una volta era sede dei principi e arcivescovi. Nel corso della storia non venne mai espugnata dai nemici. Mi affaccio e inizio a fotografare, mi giro e non vedo Antonio. E’ rimasto a 20 metri da me. Ah già soffre di vertigini. “Peccato”, gli urlo, “la visuale da qui è stupenda”. Mi guarda male. Finite le foto panoramiche iniziamo il nostro tour. A parte tutti i musei visti con reperti della prima guerra mondiale, la cosa che mi è piaciuta di più è stata la torre di avvistamento con la camera delle torture. Anche dalla torre si vede tutta Salisburgo, anche la parte dietro, che prima era impossibile vedere. Nonostante fossimo ben in alto, qui Antonio è salito. Non soffrendo di vertigini non ne capisco il meccanismo e quindi non ho capito come quel luogo non scatenasse in lui la stessa paura di prima. Finito il nostro giro è già ora di pranzo. Io non avevo assolutamente fame e quindi, quando ci siamo seduto fuori in un tavolino, nell’unico ristorante che c’era, io ho preso solo un brezel, il loro tipico pane con forma ad anello ed estremità annodate. Antonio invece, si è mangiato patatine fritte e wuster alla griglia. Se andiamo avanti così, penso io, diventeremo dei wuster ambulanti. La discesa la facciamo a piedi. Costeggiamo così tutta la fortezza. C’è scritto sui depliant che per salire a piedi ci vuole mezz’ora, ma scendere è un’altra cosa. In poco tempo siamo di nuovo nella piazza principale, dove stanno tutti giocando a scacchi. C’è anche una scacchiera pitturata per terra con degli scacchi enormi. Adesso che ci penso è l’unica cosa che mi ricordo della visita della città, di quando ero piccola. La giornata è proseguita in totale relax fino alla sera, che ci ha visto addentare della carne, finalmente, per poi ritirarsi sotto le coperte pronti per la seconda tappa del nostro giro.

mercoledì 30 giugno 2010

Non c'è nessuno


Mi guardo in giro, non c'è nessuno!
Alla mia sinistra una porta aperta lascia entrare della luce intensa. Mi da quasi fastidio, perché io mi trovo quasi al buio. Fino a settimana scorsa, da quella porta entravano ed uscivano pazienti, gente che metteva il proprio recupero nelle mani dei loro fisioterapisti. Come mai oggi non c'è nessuno. Appoggio la borsa sulla seggiola alla mia destra e, come ogni settimana mi scivola per terra facendo un bel rumore dalla troppa roba che c'è dentro. Nessuno si affaccia. Mi alzo e la raccolgo, ma non mi siedo. Avanzo lentamente nel corridoio fino a sbirciare dentro quella porta. Palle abbandonate e pesi appoggiati sul pavimento, riempiono il vuoto della stanza. Una corda appoggiata su un lettino, sembra un serpente che riposa.
Rientro sui miei passi e mi siedo. Nessuno, non si vede proprio nessuno. Non che la cosa mi dia fastidio, cerco di socializzare il meno possibile in questi posti, perché i pazienti si vogliono disfare dei loro problemi e raccontarli al primo che capita, senza però darti parola di replica. Quello che hanno loro è certamente più grave di ciò che hai tu. O magari si improvvisano medici e ti consigliano su cosa fare o si stupiscono che tu abbia fatto un determinato intervento...ma era proprio necessario? No di certo...io mi diverto a farmi aprire la pancia perchè, quando mi prude non arrivo a grattarmi dentro, invece così posso. Sarebbe da rispondere così o anche peggio ma li guardo con compatimento e sto zitta. Si ho imparato a stare zitta. Non so come ci sia riuscita, forse perché alla fine ti rendi conto che a rispondere stai male solo tu. La gente resta ignorante come prima.
E' passato da un bel po' l'orario del mio appuntamento. Dalle scale nessun rumore, l'ascensore è sempre fermo al terzo piano. Inizio a preoccuparmi. Decido di affacciarmi alla finestra. Guardo in basso, niente macchine, niente pedoni....niente si muove. Sento solo il mio cuore che batte forte, in preda alla preoccupazione. Percorro il corridoio dove di solito faccio le terapie, un passo alla volta...piano guardando dentro tutte le stanze che passo. Arrivo alla mia. La porta è chiusa. Appoggio la testa al vetro per cercare di sentire un rumore, ma non mi arriva nulla. Mi faccio coraggio e con estrema lentezza, abbasso la maniglia e spingo. Resto a bocca aperta. Sul lettino ci sono io. Sto parlando con la fisioterapista e lei mi sorride.
"Oggi non è giornata....vorrei sparire dal mondo, essere sola. Sono stufa della gente, delle loro stupide cretinate, oggi voglio che tutti spariscano" Lei mi sorride, mi tocca la gamba, prende il suo quaderno con segnati i nostri appuntamenti ed esce dalla stanza. Alza la testa prima di sbattermi contro.
"Ben arrivata, ti stavo aspettando!"

domenica 24 gennaio 2010

NON SONO PAZZO



No, non sono pazzo! Ho solo bisogno di sfogare in qualche modo il nodo in gola che mi fa soffocare. Prendo uno spillo e mi pungo un braccio. Non sento molto. Decido allora per un coltello e m’incido leggermente la carne. Dopo poco inizia ad affiorare del rosso e piano inizia a uscire del sangue. Ecco adesso si che mi sento vivo. Lo guardo finché non si è asciugato poi senza neanche pulire, esco da casa e vado al lavoro. Una telefonata dietro l’altra, tutti che si lamentano di tutto. Il capo che urla, il collega che si lamenta della moglie. Non ce la faccio proprio più. Io sorrido a tutti, non dico mai di no a nessuno e cerco di appianare i diverbi.

Sono di nuovo a casa, mi spoglio e guardo il mio braccio. Il sangue non c’è più. Mi guardo allo specchio. Che brutta faccia che ho. Gli occhi sono infossati e sotto ho delle occhiaie nere. La mia pelle è gialla e le labbra sono livide. Se non sapessi di essere vivo, in questo momento penserei di essere morto.


Vedo la lametta. Decido di farmi la barba. Non mi metto neanche la schiuma e inizio a radere. Mi riavvicino allo specchio ma la mia faccia è sempre pallida. Faccio un altro passaggio di lametta sulla guancia sinistra e mi taglio. Il sangue scende copioso e sgocciola sul lavabo. Mi riavvicino allo specchio. Con un dito mi disegno delle righe di sangue sul viso. Mi allontano. Adesso si che mi sento vivo, tutto questo rosso mi da la carica. Accendo l’acqua calda della doccia ed entro per riprendermi. Esco dopo mezz’ora ma non mi vedo allo specchio perché il vapore l’ha appannato. Mi preparo la cena e vado a letto, dopo aver letto due pagine di poesie.


La mattina seguente, mi vesto velocemente ed esco nel traffico. Sono immerso nei miei pensieri e non mi accorgo che il semaforo è diventato giallo. Quello davanti a me ha inchiodato e lo tampono. Mi sveglio dal torpore dei pensieri ed esco a vedere i danni. L’altro autista m’investe di parolacce e mi mette le mani addosso. Lo prego di calmarsi, la mia assicurazione sistemerà tutto e mi scuso per il disturbo arrecato. Dopo aver perso più di mezz’ora per le pratiche, riparto in direzione dell’ufficio. Sono in ritardo. Arrivo di corsa ma sono investito dalle urla del capo che mi dice che aveva bisogno di me, prima, proprio quando non ero presente. Mi siedo alla mia scrivania e sempre immerso nei miei pensieri, arrivo fino all’orario di uscita.


Finalmente a casa. Ho comprato un pollo. Vado in cucina e tiro fuori i coltelli per tagliarlo. Sono affilati perché settimana scorsa li ho dati all’arrotino. Passo il dito sulla lama. ATTENZIONE sono pericolosi se scappano.

Prendo il pollo e lo dispongo sull’asse. Con un taglio netto lo apro in due. Tolgo l’interiore, le mani si sporcano di sangue. Le guardo affascinato. Non sono pazzo.
Riprendo il coltello per tagliare il petto. La lama mi scappa perché, con le mani sporche, non ho la presa salda. Sento del caldo. Mi guardo e mi accorgo che mi sono inciso un polso. Il sangue cade copioso. Il pavimento si sporca.


Rimango a osservare le gocce sul bianco delle piastrelle. Bianco, rosso. Che bel contrasto. Il bianco, un colore da morte, il rosso un colore così vivo.
Inizio a sentirmi debole, dovrei andare al pronto soccorso, sto perdendo troppo sangue ma non riesco a distogliere lo sguardo da tutto quel rosso. Mi sento debole, le ginocchia mi si piegano e cado per terra. Mi siedo e allungo le gambe dentro la pozza. Mi sento felice, per la prima volta in vita mia. Chiudo gli occhi, ho freddo.


Non sono pazzo, sto morendo lo so ma io sono tranquillo, non sto soffrendo. Il rosso, il sangue, il colore della vita mi sta uccidendo. Sorrido. Prendo il coltello che è caduto per terra e mi guardo riflesso nella lama. Sono bianco, il colore della morte si è già impossessato di me. Lo butto. Le forze mi stanno lasciando definitivamente, faccio a tempo a scarabocchiare qualcosa col dito sporco su una piastrella rimasta ancora bianca e piego la testa definitivamente per accogliere la morte.

Non sono pazzo!

AL BUIO



E’ tutto buio qui, ma continuo a camminare con cautela. Il buio non mi rassicura per niente, non sai mai chi potrebbe esserci davanti a te, ma anche dietro. Un agguato alle spalle, che paura … ma perché mi sono messa a pensare a questo, accidenti a me!
Provo ad allungare le mani ma non tocco niente, provo allora ad aprirle lateralmente cercando una parete o qualcosa cui possa attaccarmi per proseguire.

Ma come sono finita qui, non me lo ricordo neanche. Non trovando appiglio da nessuna parte, proseguo avanzando un piede alla volta. Mi sento tanto un cieco in questo momento, come fanno loro tutta la vita a stare nel buio e non vedere le cose belle che il mondo ci mette davanti tutti i giorni. Loro hanno un sesto senso quando camminano, perfettamente in grado di evitare sedie e altri ostacoli. Hanno l’abilità di percepire la presenza di alcuni oggetti nell’ambiente pur senza vederli.
Nonostante ciò camminano con un bastone per trovare gli ostacoli davanti a loro. Io non ho un bastone ma, tengo le mani davanti per evitare questi fantasmi che si pareranno davanti a me.

Faccio pochi passi quando mi sembra di avvertire una presenza vicino, che mi sia venuto il sesto senso anche a me? Non so se parlare o stare zitta. Sento freddo, questo posto è anche umido ed io non so perché ma sono solo con una canotta. “C’è qualcuno?” mi faccio forza e rompo il silenzio. Faccio un altro passo e qualcosa mi sfiora il viso. Mi fermo terrorizzata. Che cosa sarà stato, allora c’è veramente qualcuno qui con me. Respiro per tre volte e poi prendo coraggio: mi agito davanti a me come una forsennata per vedere di riuscire a toccare qualcosa o qualcuno. Niente, il nulla intorno.

Faccio un altro passo e sento come una voce vicino al mio orecchio sinistro. Decido che è solo la paura che mi sta facendo impazzire, il buio non può sempre vincere su di me, è una fifa che mi porto avanti da quando ero bambina. Ora proverò a camminare più decisa e così magari giungerò prima alla fine di questo calvario.
Avanzo con passo deciso, sembra che io sappia dove andare. A un certo punto vedo una luce, prima molto lontana, fioca. Stringo gli occhi per vedere se non è frutto della mia fantasia, poi all’improvviso la luce, si fa abbagliante. Ma cosa cavolo è stato!

Mi sveglio. Di fianco a me c’è mio marito che mi guarda con faccia allucinata. Mi ha appena letteralmente strappato la mascherina per dormire dalla faccia. Lo guardo interrogativa. “Stavi sognando, mi picchiavi. Ho provato a svegliati delicatamente, prima sfiorandoti il viso, poi chiamandoti piano all’orecchio ma, non c’è stato verso”. Lo guardo ancora più con perplessa. “Alla fine quando ho visto che non ti svegliavi con le buone, sapendo che la luce ti fa svegliare, ti ho levato la mascherina.”

Ma come era solo un sogno quello che stavo facendo. Mi giro lo guardo e gli sorrido. Ruoto verso la porta e osservo la stanza, un posto che conosco bene, accogliente e caldo tutto il contrario di dove mi trovavo prima. Prendo la mascherina, la lancio per aria e la osservo cadere piano perché è leggera e il tessuto fa resistenza nell’aria. “Basta di questa non ne ho più bisogno, preferisco la luce!”

martedì 19 gennaio 2010

ASPETTANDO IL TRENO


Mi sono seduta su dei binari ad aspettare. Non che passi il treno ma che mi torni la voglia di continuare questo viaggio, che qualcuno ha deciso non fosse una semplice passeggiata. Mi viene in mente adesso un detto di Will Roger che dice: anche se sei sul binario giusto, vieni travolto se resti fermo seduto lì. Ma io sono stanca e quindi mi prendo tutto il tempo che ho bisogno. Se il mio tempo coinciderà con il passaggio del treno, vorrà dire che il mio viaggio sarà terminato.
Chiudo gli occhi. Sento il vento che mi entra nella camicia e mi vengono i brividi. Non ho mai sopportato il vento ma in questo momento sembra che sia il mio unico compagno e che con il suo soffiare mi sproni a continuare. Forse non l’ho mai amato proprio perché lui non può essere fermato, va sempre avanti anche quando trova sul suo cammino un sacco di ostacoli, mentre io più volte ho pensato di mollare tutto. In realtà non sopporto che riesca dove io fallisco.
Il binario è gelato, come il mio cuore in questo momento. Se ci si lascia andare, il buio prende il sopravvento e, dove fino a cinque minuti fa c’era calore, si trova solo ghiaccio. Appoggio la testa tra le gambe e inizia a scendere una leggera lacrima da un occhio. Uno dei due ha deciso di resistere e non mostrare, come al solito, la sua debolezza. Lascio che la lacrima mi arrivi sulle labbra per sentire il sapore salato. Il sale della vita.
Sento un rumore e alzo la testa, poi l’abbasso per vedere da dove arrivi: una lucertola è sbucata dalla sterpaglia e cammina indifferente a me, sul binario gelato. Attenta, le dico, che se arriva il treno ti schiaccia.
Per un secondo si ferma, come disturbata dalla mia voce o magari solo per dirmi: attenta a te cara!
Mi rimetto in posizione fetale per scaldarmi un po’, ma in lontananza sento un fischio. Inizio a tremare, ma non è il mio corpo che trema per paura, è il movimento del terreno che mi fa tremare. Il fischio si fa sempre più vicino e a questo punto capisco che qualcuno ha deciso che oggi finisca il mio viaggio. Il mio destino mi sta venendo incontro velocemente ma io ho ancora bisogno di riposare, ancora un po’, non posso andarmene. Chiudo gli occhi. Oramai manca poco lo sento.

Fiuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu


L’aria mi fa volare all’indietro. Il treno è passato sul binario vicino al mio. Resto inebetita per un’ora guardandolo sparire all’orizzonte. Quando finalmente mi sembra di aver riposato abbastanza, mi alzo, pulisco i pantaloni e pian piano riprendo il mio cammino.
Qualcuno oggi ha deciso che il mio viaggio dovesse continuare, mi dico. Poi mi giro e riguardo il posto, dove ero seduta. Il binario finisce proprio, dove ero io. Oggi ho deciso che il viaggio debba continuarlo, mi sono presa solo una pausa di riflessione.

lunedì 18 gennaio 2010

LETTERA AD UN BAMBINO MAI AVUTO


Ciao,
ecco già la partenza non è che sia il massimo. Non so neanche se nella mia mente saresti stato un maschietto o una femminuccia. Per il mio carattere forse, avrei preferito un maschio ma la complicità che poi si crea tra due donne, è diverso, quindi anche una femmina non sarebbe stata male. L’importante che non fossi il contrario di me; io non ho mai accettato da piccola il fatto di essere una femmina e mi comportavo di conseguenza come un maschiaccio. Niente gonne, capelli corti (se per questo lo faccio ancora adesso) e non giocavo mai con le bambine. Ecco se avessi avuto una femmina con la f maiuscola, non mi sarebbe molto piaciuto. Anche se poi queste sono tutte cretinate. Comunque torniamo a te. Ho tantissimi dubbi sul fatto di come mi sarei comportata, e mi scuso, anche se non ho fatto un bel niente, ma lo so avrei di certo commesso un’enormità di errori. Sarei riuscita a mettere la mia voglia di protagonismo davanti alle tue esigenze? Sarei stata capace di capire le sue necessità, quando ancora ho problemi con le mie? Ti avrei amato più della mia anima?
Con la scusa che non stavo ancora bene, non ho mai pensato ad adottare un bimbo. Egoismo puro, perché oramai avevo trovato un equilibrio nella mia vita di coppia e non volevo sconvolgerlo. Quando ho deciso per la via più radicale per l’intervento e alcuni amici contemporaneamente aspettavano i loro primi figli, sono stata gelosa di loro e ancora adesso mi succede. Non so se poi è giusto chiamarla gelosia, è più non aver provato, non provarlo e anche se ne avessi voglia non poterlo fare. Ho sognato un sacco di volte prima di tutto il casino, come avrei detto a mio marito che stava diventando papà e questo è molto ridicolo perché io non ho mai avuto il desiderio di maternità. Lo so sono un controsenso vivente. Diciamo pure che mi comporto come la volpe e l’uva!
Ecco dopo averti detto questo, chissà cosa starai pensando della tua mamma, meno male che non sono capitato tra le tue grinfie! Dai non sono poi così male, sembro dura ma non lo sono. Ho una mancanza di affetto che non so da dove arrivi, ma sono sicura che ne avrei dato un sacco a te. Sarei riuscita a mettere da parte le mie sofferenze per capire le tue? E’una domanda che mi sono già fatta prima ma, stavolta rispondo. Ne sono convinta, non c’è una persona più brava di me in questo; vedi la tua mamma è anche molto modesta!
Non so cosa aggiungere d’altro, questa lettera non so neanche perché l’abbia scritta. L’ultima cosa che posso dire è che gli amici mi considerano una brava persona e quindi magari sarei stata anche una discreta mamma.
Un baciotto sulla guancia.
La tua mamma.

domenica 17 gennaio 2010

PENNA BIANCA


(dedicato al cane che ho adottato a distanza dalla LAV)

Sono stato trovato all’inizio di luglio dalle Forze dell’Ordine all’interno di una recinzione alla periferia della città. Le mie condizioni sono sembrate subito disperate, ero in stato di avanzata denutrizione, arrivato ad un peso di appena 20 kg. Per essere un Pit Bull di 8 anni, maschio ero proprio conciato!

Dopo i primi soccorsi, sono stato trasferito in un centro di recupero dove fin dal primo giorno ho mostrato tutta la mia aggressività, conseguenza dei maltrattamenti subiti e all’addestramento finalizzato al combattimento. Mi hanno assegnato subito un nome, Penna Bianca, sarà per quelle buffe macchie bianche che mi circondano il muso… ma se è per questo hanno proprio sbagliato!
Sono passati pochi giorni dal mio arrivo al centro, le giornate si svolgono per me in modo tranquillo…in che modo, penserete, beh l’importante è che mi lascino stare da solo perché sono ancora imprevedibile, difficile e passo da momenti di tranquillità a momenti in cui reagisco a qualsiasi stimolo esterno interpretandolo come possibile pericolo tornando improvvisamente aggressivo.

Così mi hanno insegnato, tutto è nemico, tutto è da mordere fino alla morte! Mi sono accorto di non essere l’unico cane nella struttura, sento il loro odore, saranno amici o nemici? Ci sono maschi e soprattutto femmine, il mio naso non mente anche se una parte di esso ha perso gran parte della sensibilità a causa di un morso di un Mastino Napoletano. Ho iniziato un corso rieducativo, ma non ho molta voglia di dar retta alle cose che mi chiedono.

Mi sto impegnando con gli esercizi al guinzaglio, ubbidisco abbastanza all’educatore, ma nel momento in cui vengo lascito libero nell’area di “sgambamento” non cerco il contatto con le persone, piuttosto mi dirigo ad ispezionare il territorio che mi circonda e cammino con passo sicuro e testa alta. Durante le ultime mie passeggiate solitarie, si è unita una cagnolina che mi segue a debita distanza. Io non ho ricercato la sua compagnia e quindi non faccio nulla per avvicinarla.

Però a pensarci bene non mi da neanche troppo fastidio la sua presenza, ciò forse è segno che sta svanendo la mia aggressività nei confronti di altri cani o…no non ci voglio pensare Matilde è una bastardina, non c’è niente in lei che mi piace! Mi dirigo verso il mio angoletto preferito, in cui c’è un bel cespuglio dove accucciarmi, che mi ripara dalla calura estiva e lei si accuccia qualche metro a distanza da me. Non mi guarda, finge indifferenza, ma appena accenno a rialzarmi, come per magia si rialza anche lei. Non si è accorta che io sono un cane dominante, che non accetto la compagnia di altri animali? Più i giorni passano e più io riacquisto il mio peso e la mia bellezza, anche se ho sempre mantenuto il mio portamento elegante e fiero.

Sicuramente è per questo che Matilde non mi lascia mai solo, sono il cane più bello del centro. Oggi, alla mia solita passeggiata lei non ha partecipato e io per la prima volta mi sono sentito solo. Vecchia Penna cosa ti sta succedendo, il tuo cuore si sta ammorbidendo troppo? Ma sì, Matilde tutto sommato è dolce, socievole, ubbidiente, giocosa, perché fare finta che non esista, quando poi noto tutte queste cose di lei? Sono passati diversi giorni e di Matilde non ho fiutato neanche più l’odore, ma cosa sarà successo, sembrava che di salute stesse bene, anzi era proprio in piena forma si vedeva ad occhio nudo, pelo bello, occhio vispo e lucido coda sempre in movimento.

Mi sa che mi toccherà fare un po’ di lega con altri animali per sapere cosa è successo alla mia Matilde. Mia Matilde? Ma….ma cosa sto dicendo, volevo dire cosa è successo alla cagnolina in questione. Ho saputo da vie traverse, senza sbilanciarmi troppo che Matilde ha finito il suo periodo di recupero ed è stata affidata alla sua nuova famiglia. No…non ci posso credere, che bello, che tristezza! Non la potrò più vedere, non mi seguirà più nel mio giro nel prato. Sono stato duro come al mio solito, non ho mostrato un minimo di interesse in lei, non l’ho neanche annusata una volta dietro alla coda! Basta così ho imparato la lezione a mie spese.

D’ora in poi cercherò di cambiare il mio carattere, diventare più socievole, ubbidiente ed affettuoso verso gli altri, anche cani, perché se dovesse tornare, la mia Matilde sicuramente si accorgerebbe dei miei miglioramenti e ne sarebbe fiera. Oh, Matilde!