lunedì 28 novembre 2011

La mia Endo!


"Dai dolori che lei ha, potrebbe avere un po' di endometriosi. Meglio fare una laparoscopia di controllo." Finalmente il mio ginecologo mi stava dicendo che i dolori che avevo durante le mestruazioni e durante i rapporti con mio marito avevano un nome. Ma andiamo con ordine. Non ho mai sofferto di dolori mestruali dall'inizio. Poi dopo aver fatto un'operazione di appendice, ho iniziato ad avere dolori al basso ventre, soffrire di diarree improvvise. Il chirurgo che mi ha operato di appendicite, ha detto a mia madre che avevo delle cisti nell'ovaio e lui le ha bucate. Ma di che natura erano queste cisti? Come ti permetti di bucare roba che non sai neanche. Ma allora, qualsiasi cosa faceva un dottore andava bene. Sto parlando del 1985 circa. Ritorniamo al ginecologo che mi vedeva due volte all'anno. Ho iniziato ad andare da lui quando mi sono messa con il mio attuale marito e nella visita lui mi faceva sempre l'ecografia. Com'è possibile che nonostante gli dicessi dei dolori e mi facesse l'eco non si sia mai posto il problema prima. Anzi una volta mi ha consigliato, visti i dolori durante i rapporti, di mettere delle creme per ammorbidire la parte.

"Endo che?" gli chiesi. Ma allora non mi ha pressoché spiegato nulla lui. Sono stata io la sera che ho guardato in internet cosa fosse, e non mi è sembrata una cosa così grave. Ma il tempo mi ha fatto cambiare idea.

E così dopo aver fatto gli esami di pre ricovero, il 12 dicembre del 2001 ho iniziato la mia avventura col mondo endometriosi: la mia prima laparoscopia alla Mangiagalli. Quando mi sono svegliata dall'anestesia di fianco a me c'era mia mamma che mi guardava preoccupata. Sapendo che nella sua vita ha dovuto curare mia nonna malata per tanti anni da sola, e quindi non sopporta più gli ospedali, l'ho guardata con un sorriso e le ho detto: " e' tutto finito mamma, è andato bene, vero?" ma lei non mi ha risposto e mi ha accarezzato. Allora ho ripetuto la mia frase, magari ancora sotto anestesia avevo biascicato e non parlato correttamente. Si è seduta vicino a me con la sedia e mi ha detto che sarebbe passato poi il dottore a spiegarmi che l'endometriosi era già in stato avanzato, il peggiore il IV stadio e che avrei dovuto fare degli accertamenti sull'intestino per poi subire un ulteriore intervento. Il mio ginecologo aveva chiesto a mia madre di anticiparmi la brutta notizia perché lui non sapeva come dirmelo. Non ho parole per questo. Ho fatto i vari esami e sono stata messa in lista per il pre ricovera di marzo. Quel giorno, mi ha visitato un dottore che ora viene considerato uno dei luminari dell'endometriosi a Milano (non farò qui il nome di nessun dottore) e mi ha detto che di lì ad un mese sarei stata operata. Ok mi avvicinavo al mio secondo intervento a grandi passi. Vengo poi richiamata dentro da un professore, che all'epoca e ancora adesso viene considerato un esperto, che mi dice che ha bloccato l'intervento. Mi dice che sono giovane e quindi che devo fare un figlio e poi penserò all'endometriosi. L'ho odiato tanto. Come osava mettersi di mezzo al mio intervento, ordinarmi di fare un figlio e se io un figlio non lo avessi voluto? Al pomeriggio mi sono presentata nello studio privato del mio ginecologo inveendo contro questa persona. Morale che l'iter dell'intervento è ripreso con altri accertamenti da fare. Mi hanno mandato a fare una rettoscopia senza che lo sapessi e quindi senza preparazione in Regina Elena. Il dottore che me la eseguì non riuscì a farmela perché le feci ostruivano il passaggio, naturalmente. Anzi esordì con questa bella frase: "lei è piena di merda, qui non si vede niente!" Mi sarebbe piaciuto dirgli che anche lui era pieno ma era anche un pallone gonfiato ma stetti zitta. Mi diede appuntamento per quattro giorni dopo per rifare l'esame con adeguata preparazione. Quando uscii dall'ospedale avevo il sangue al cervello dall'incazzatura. Mi presentai il giorno dell'esame promettendo a me stessa che se mi avesse ancora insultato non sarei stata zitta. A metà dell'esame la sonda non riuscì più a salire, perché l'endometriosi bloccava tutto. Mi fece rivestire e mi disse con molta umanità "l'intervento lo devo fare io, adesso chiamo in Mangiagalli e dico quando sono disponibile, sarò via per qualche giorno all'estero. Che non mettano l'operazione alla mattina presto, almeno sono riposato perché qui ci sarà da lavorare per bene." Non mi sembrava neanche la stessa persona che mi aveva "insultato" quattro giorni prima. Finalmente uno che parlava chiaro, forse anche troppo!

Il 2 luglio 2002 feci la mia seconda operazione, la mia prima laparotomia. L'intervento fu lungo e complicato sbrigliare l'intestino dall'endometriosi fu complicato. Poi c'erano varie cisti nelle ovaie e l'utero da sbloccare. Fu eseguito come primo operatore dal professore che aveva bloccato l'intervento a marzo e dal chirurgo dell'intestino più il mio ginecologo, che secondo me face il passa bende in quell'occasione. Quando mi svegliai, non avevo sensibilità al piede sinistro. Forse l'operazione sul lettino ginecologico per molte ora, aveva fatto si che un nervo della gamba si fosse schiacciato e così fui anche visitata da un neurologo che mi disse che avrei ripreso la totale sensibilità del piede, dopo mesi. Stetti ricoverata 12 giorni e in tutti quei giorni non ho mai avuto il piacere di avere una visita dal professore. Il chirurgo dell'intestino invece veniva sovente sempre accompagnato da un sorriso dolce. Il giorno della dimissione, dovetti chiedere io al medico che mi tolse i punti se avessi dovuto andare avanti con la pillola, per non farmi venire di nuovo tutto. Lui mi rispose che tanto sarebbe ritornata. Ma in che ospedale ero finita!!! Ma come la Mangiagalli non era uno dei centri italiani per la cura dell'endometriosi? E questo era il modo di prendersi cura dei loro pazienti? Presi la mia roba e salii in ascensore. Li incontrai il professore che mi aveva operata. Naturalmente non mi riconobbe, visto che mi aveva solo intravisto su un lettino di sala operatoria. Non gli dissi nulla, cosa avrei dovuto urlargli: il figlio fallo tu, hai visto che ero già piena, perché non sei mai passato a vedermi, questo è il tuo modo di prenderti cura dei tuoi pazienti. Sì in testa gli feci tutte queste domande, ma restarono li. Uscii dall'ascensore e andai a casa a fare la mia lunga convalescenza. Dopo pochi mesi i dolori ripresero sempre più forti, insopportabili e l'intestino riprese a fare le bizze. Il mio ginecologo, che povero lui non ne ha mai capito un bel niente di endometriosi, mi disse che potevano essere delle aderenze all'intestino e quindi si poteva intervenire con un palloncino. Cioè si entrava con una sonda dall'ano dentro l'intestino e nel momento che si trovava lo stringimento si apriva un palloncino per aprire le pareti. Sembrava facile detta così. Il chirurgo dell'intestino però mi affidò alle "cure" di un suo collega dell'Istituto Tumori di Milano. Il giorno che andai per fare questo palloncino il radiologo fermò tutto chiedendomi il motivo di questo "intervento". Glielo spiegai ma lui mi disse che non si poteva fare un esame di questo genere senza aver avvisato le sale operatorie perché c'era il rischio, che se avesse messo troppa aria nel palloncino e si fossero lacerate le pareti del retto, di entrare d'urgenza in sala operatoria. Era un esame che facevano sui pazienti operati li o che ancora erano in degenza da loro. Io ero un esterna e quindi nessuno sapeva niente di me. Ritornai dopo pochi giorni. Il radiologo però non portò in fondo l'esame perché entrando con la sonda e risalendo l'intestino si rese conto che c'era qualcosa che bloccava da fuori le pareti e non le faceva dilatare. Morale della favola, l'endometriosi si era ripresa i suoi spazi. Feci altri esami e alla fine il mio ginecologo capendo che la situazione era pericolosa per l'intestino, mi diede in mano definitivamente al dott. dell'Istituto Tumori perché temeva che con la resezione dell'intestino rischiassi la deviazione. L'unica fortuna, tra tutte queste cose, è che mio marito lavorava in quell'ospedale. Presi un appuntamento nel suo studio privato portandomi appresso tutti gli esami fatti. Onestamente non ricordo cosa mi disse, non mi sentivo a mio agio da lui e l'unica cosa che mi è rimasta memorizzata è che dovevo essere ricoverata per una nuova laparoscopia. Mi ricordo che andai in crisi. Io all'Istituto dei Tumori non ci vado. Li c'è gente che lotta per la vita, io non ho niente in confronto. Quanti pensieri sbagliati si fanno con l'inesperienza. Fui ricoverata ed il 4 giugno 2003 feci la mia seconda laparoscopia. In quell'occasione conobbi il mio ginecologo attuale, perché visto che si trattava di una malattia ginecologica, il chirurgo dell'intestino chiamò lui, anche perché aveva già avuto molti casi di endometriosi tra i suoi ferri, prima di diventare oncologo. Il giorno del ricovero mi arrivarono pure le mestruazioni. Che vergogna, pensai, entrare in sala operatoria sanguinante. Che scema, penso ora, sangue più sangue meno, cosa importava a loro. L'endometriosi era tornata. Prima di dimettermi dall'ospedale il ginecologo mi fece dire in reparto di passare da lui. Io ero ricoverata in quello dell'intestino. Mi diede il suo numero di cellulare e mi disse: "Se vuole andiamo avanti insieme a combattere questa malattia. D'ora in avanti farà un diario quotidiano dei dolori e tutti i problemi collegati. Possiamo iniziare con tre alternative per la menopausa chimica: pillola in continuo, puntura di Enantone o spirale con progesterone, ci pensi e mi faccia sapere." Decisi per la pillola in continuo perché avevo paura che magari la spirale mi desse fastidio. Iniziai il mio diario quotidiano. Quando arrivavo alla sera e leggevo quello che avevo scritto mi sembrava un campo di battaglia: dolori, fitte, scosse, ovunque; tutto questo nonostante io fossi in menopausa. Dopo 3 mesi mi fece passare alle punture di Enantone, un medicinale fortissimo che si usa per varie malattie: nell'uomo per il tumore della prostata, nella donna per endometriosi e tumore alla mammella in donne che non hanno ancora raggiunto la menopausa. Come effetto collaterale può causare le vampate da menopausa e tutto quello che dicono compaia con essa: secchezza vaginale, diminuzione della libido e riduzione del volume mammario. Nonostante avessi una bella quarta il mio seno si era svuotato. Questo però non era niente rispetto a quello che mi fece quel farmaco. Iniziai ad avere delle emorragie tremende. Alcune bloccate con pastiglie di Tranex e fiale anti emorragiche. Ho tirato dicembre e poi il ginecologo mi ha detto che dovevamo parlare. Sono andata a parlare con lui, sta volta anche con mio marito, mi aveva già accennato di cosa dovevamo parlare: era arrivato il momento di decidere! Le alternative anche qui erano più di una: operazione totale (isterectomia con asportazione delle ovaie) per dimenticarsi della malattia, o pulizia di tutto quello che c'era dentro e provare con l'inseminazione artificiale per vedere se venivano figli e poi ci sarebbe stato un altro intervento per arrivare alla totale. Ho sempre odiato avere una scelta davanti. E se poi avrei preso quella sbagliata la colpa era mia, se invece ero obbligata potevo scaricare la colpa su altri. Come potevo prendere una decisione così? A 32 anni, dovevo decidere ora cosa avrei voluto del mio futuro che una maledetta malattia mi voleva portare via. Piansi mi disperai. Mio marito però mi disse: "Io amo te, non un ipotetico figlio che potrà venire o no. Quindi voglio che tu stia bene e se stare bene è non avere un figlio in modo naturale, un domani se tu lo vorrai ci saranno altre strade." Cosa potevo volere di più dalla persona che avevo accanto. Questa era l'ennesima dichiarazione d'amore, e che lui c'era e qualsiasi cosa avessi questo lui mi avrebbe sostenuto. Mi presi del tempo, anche perché era appena entrata in vigore la nuova legge sull'inseminazione e leggendola mi faceva schifo: non tutelava le donne. Decisi così di pensare a me e di fare l'intervento di isterectomia. Se devo dire la verità ancora adesso questa decisione mi pesa e sono passati ben 7 anni. A febbraio del 2004 pochi giorni prima del mio 33esimo compleanno mi operarono. Firmai per l'eventuale deviazione al retto. Ricordo che il giorno prima dell'operazione, mentre facevo la visita con l'anestesista lui mi disse: "Età 33?". "No ancora 32 per poco, cerchi di impegnarsi e di farmi arrivare all'età in cui è molto Cristo, perché io vorrei superarla." Chissà cosa avrà pensato. La notte nevicò, la notte prima dell'intervento e visto che io adoro la neve ho pensato che mi avrebbe portato fortuna. La mattina del 22 febbraio 2004, un venerdì, entrai in sala operatoria per quella che pensavo fosse la mia ultima operazione e che doveva farmi dimenticare a vita la mia malattia. La neve portò solo la fortuna la mio intestino che fu sì reciso, ma non fu necessaria la deviazione. Quando la sera mi svegliai dall' anestesia (passai in sala operatoria tante ore, il ginecologo quando andò a parlare coi miei famigliari era distrutto) continuavo a chiedere notizie sull'intestino e sull'uretere. Si l'uretere era stato salvato dal primario di ginecologia che mi aveva messo lo stent perché si era piegato tutto e appiccicato all'intestino a causa dell'endo. Ma io come potevo saperlo? Boh ancora adesso me lo domando. Forse nella camera di risveglio in trance avevo sentito qualcosa e il mio cervello era rimasto su quel particolare, che una volta svegliata, per modo di dire, continuavo a chiedere. Sfortuna vuole che non tolleravo l'elastomero con la morfina e così dopo poco me l'hanno anche tolto, così mentre tutti quelli che avevano subito interventi dormivano rincoglioniti dalla morfina io passavo la notte in bianco, dolorante. La sera dopo, la vigilia del mio 33 esimo compleanno ha avuto una colica renale. Vi lascio immaginare il dolore di una colica con la ferita di una pancia aperta fatta da un giorno. Chiamarono gli urologi e mi dissero che poteva essere lo stent che si era mosso. Era il suo modo di farmi gli auguri! Sono stata ricoverata 15 giorni, anche perché i primi giorni li ho passati con la flebo alla giugulare come alimentazione, visto il taglio dell'intestino. Poi brodo e non ricordo cos'altro. Era importante che io facessi anche solo dell'aria, cioè che il mio intestino ricominciasse ad avere le sue funzioni. La riabilitazione è stata lunga. Ora c'era da preoccuparsi della mia menopausa anticipata. Iniziai a prendere la pillola contro la menopausa. Passai un anno e mezzo abbastanza tranquillo. Una notte ebbi una colica renale. Mi ricordo che venne mia mamma la mattina a farmi una puntura. Chiamai il ginecologo per diglielo e lui mi disse che probabilmente c'era della sabbia e di farmi vedere da un urologo. E così mi ripresentai, dal mio vecchio, non per età ma per conoscenza, urologo dell'Humanitas. Vecchio perché prima di iniziare tutto il calvario dell'endometriosi avevo avuto dei problemi: urinavo tantissimo rispetto al liquido che ingerivo e lui mi aveva fatto entrare in ospedale facendomi fare vari esami urologici senza capire cosa fosse successo. Probabilmente era già una prima dimostrazione di affetto dell'endometriosi. Mi visitò ma non mi trovo nulla. Mi disse solo che per vedere avrei dovuto andare da lui sotto colica. La notte del 24 dicembre 2005 ebbi un'altra colica, stavo malissimo. La mattina alle 8 suonai ai miei con in mano la siringa e il buscopan. Mia madre mi disse che dovevo assolutamente imparare a farmi le punture da sola, per essere autosufficiente. Non potevo permettermi di essere dipendente da altri. Così una notte, dopo l'ennesima colica, che mi veniva ogni due settimane, presi coraggio. Non so quante volte mi bucai prima di prendere la decisione di far entrare tutto l'ago. Comunque alla fine sono riuscita. Un week end di febbraio che tornavo dal mare, ho passato quasi tutto il viaggio sotto colica. Nell'arrivare a Milano ho chiamato subito l'urologo ma lui era nella sua giornata libera e mi disse di andare in ospedale. No ancora in ospedale no. Non ci volevo andare. Aspettai qualche ora, poi presa da un orecchio da mamma e marito, mi portarono al pronto soccorso dell'Humanitas. Mi ricoverarono per una settimana, facendomi fare un sacco di esami, RMN, tac, l'ennesima colonscopia. Alla fine il mio urologo mi disse che era qualcosa sull'uretere che si gonfiava a andava a schiacciare, provocandomi le coliche e anche andava tolta. "Tolta come?" chiesi. Bisogna fare il rinnesto dell'uretere in vescica. Tagliare l'uretere dove ha quella massa e rimetterlo dentro la vescica, portando su un po' la vescica e abbassando un po' il rene. No, non si posso credere!!! Un'altra operazione. Mentre ero ricoverata ho chiamato il mio ginecologo chiedendogli se poteva essere ancora endometriosi. "Assolutamente no, non c'è n'é più." così mi rispose e finì la telefonata con" Auguri." In quel momento se lo avessi avuto tra le mano non so cosa gli avrei fatto. Il 17 marzo del 2006 facevo la mia terza laparotomia. Mi operò il primario di urologia, che vedendomi la pancia a gobbe per i vari interventi mi disse che me l'avrebbe sistemata lui. Era venerdì come la mia ultima operazione. Non nevicava ma comunque qualcosa andò storto. La notte ebbi un'emorragia. La mattina di sabato non sapevano se rioperarmi, perché già nell'intervento appena fatto avevano toccato la parte da togliere e l'addome si era riempito di sangue. Mi fecero due trasfusioni. Un mese prima ero andata io a donare il sangue. Per la prima volta nella mia vita, ricevevo quello che davo. Ho la fortuna che una volta che sto bene il mio cervello si dimentica dei dolori anche forti che ho avuto. Anche nel caso della notte dell'intervento non ricordo il dolore provato. Ma ho netta la sensazione che è stato il più forte della mia vita. Non ho mai chiamato in vita mia infermieri per farmi fare dei calmanti o perché non stavo bene. Beh quella notte, avrò suonato il campanello 1000 volte. Avevo male ovunque. La schiena poi mi faceva impazzire. L'addome me lo sarei strappata. Solo la mattina con gli esami del sangue si è scoperto che avevo un'emorragia in atto. Meno male che qualcuno ha guardato giù, avrei potuto lasciarci le ghette. Morale 13 cm di ematoma sulla pancia. Ho tenuto lo stent per un mese e non ricordo quanto il catetere. Quando arrivo l'esame istologico mi venne un colpo. Avanzo ovarico. Avevo nel mio corpo un pezzo di ovaia che ovulava e andava avanti a fare casini. Chiamai subito il ginecologo e gli disse che sarei andata da lui in ospedale per parlare di questa cosa. Ci incontrammo in Istituto e non mi chiese scusa. Mi disse che era possibile. Le mie ovaie erano esplose prima di essere tolte. Erano rari i casi, a me era successo. L'unico dottore che in vita mia si è scusato con me è stato il suo primario che una volta operata è venuto a scusarsi di avermi fatto attendere così tanto. Lui che operava tumori non aveva mai avuto un intervento così complicato. A noi pazienti basta poco: che qualcuno ti dia una pacca sulla spalla e ti dica: ti capisco!

La cosa buffa è che io avevo preso per un anno una pillola contro la menopausa e in menopausa non ci ero. Feci controlli ed eco per monitorare l'ematoma. Ad ottobre stavo ancora male, dolore al rene. Corro dall'urologo e mi dice, c'è un linfocele che blocca l'uretere. Domani vieni dentro che te lo siringo in ecografia. La mattina successiva mi sono ripresentata al pronto soccorso, dove l'equipe di urologia era già stata allertata e lui insieme all'ecografista sono entrati con una siringa con un ago lunghissimo davanti e tramite ecografo hanno bucato il linfocele e fatto uscire quello che c'era dentro. Sono stata ricoverata per due giorni, fin tanto che la pallina non si sgonfiasse del tutto. Non è carino vedere entrare un ago lunghissimo nel tuo addome con l'urologo che ti dice di stare ferma perché dietro c'è l'aorta e se sbaglia, son cavoli. A nessuno è venuto in mente di analizzare il contenuto del liquido anche se era rossiccio. A febbraio mio marito per sfatare questo mese mi fece un regalo per il mio compleanno. Un viaggio in mar rosso. Che bello non ci potevo credere. Tre giorni prima di partire ero in ufficio e non stavo bene. Avevo delle pulsazioni fortissime dentro il retto. Da quando non sto bene ho sempre dei medicinali forti con me così presi un toradol. La sera andavo fuori con gli amici della palestra a festeggiare il mio compleanno. Presi un altro toradol ma niente i dolori non mi passavano. Quando tornai a casa, presi il terzo della giornata. Stavo malissimo. Alle tre di notte non ce la facevo più mi alzai e mi feci una puntura. Cercai di andare ad urinare ma non riuscii. Mi prese il panico, iniziai a piangere. Mio marito si vestì e per la l'ennesima volta volai al pronto soccorso dell'Humanitas. Oramai bastava che digitassero il mio nome e cognome e avevano tutte le cartelle a disposizione e quindi non mi fecero attendere neanche un secondo. Arrivò subito l'infermiera a farmi la flebo calmante e dopo poco ero a fare un'ecografia. Avevo una palla di 9 cm nella pancia. Visto che non riuscivo a urinare mi misero il catetere. La mattina arrivò il mio urologo prendendomi in giro. " Ma sei sempre qui?"; tutti i dottori dopo poco che hanno che fare con me mi hanno dato del tu, sarà che dimostro anche meno dell'età che ho. Gli ho sorriso e mi hanno ricoverato. Addio al viaggio nel mar rosso. Sono entrata in ospedale il 28 febbraio 2007, una data che ricorderò per tutta la vita e sono uscita dopo un mese. Per prima mi hanno infilato un ago nella schiena tramite tac guidata per cercare di arrivare alla palla. E' stato doloroso ma come al solito non ho detto niente. Ogni volta che prendevano un ago più grosso per cercare di bucare ed entravano, sentivo la sensazione che ne uscissero da davanti. Alla fine non so quanti aghi sono stati cambiati ma sono riusciti a scalfire la corteccia ed entrare. Ho tenuto il drenaggio per un po' di giorni. Uno degli ultimi ha iniziato a uscire sangue vivo. Mi sono spaventata e ho chiesto il motivo. A vedere un dottore che brancola nel buio sono abituata ma dico la verità mi dà ancora fastidio e non mi abituerò mai. Ho capito solo dopo due mesi cosa era. Ma non affrettiamo i tempi. Poi mi hanno rivoltato come un calzino per capire come mai la vescica non funzionava più. Per i primi giorni ho avuto il catetere, poi hanno deciso di insegnarmi l'autocateterismo. Morale, infilavo io un piccolo tubicino dentro il meato e facevo uscire l'urina dalla vescica. Non avevo però sensibilità quindi non capivo quando la vescica era piena, rischiavo di farla riempire troppo e quindi mandarla in ipertensione. Mi diedero un orario per urinare. Ogni ora o più durante il giorno dovevo svuotarla. Come ho detto mi fecero tantissimi esami, sui nervi, tac, risonanze magnetiche. Alla fine visto che stavo lasciandomi andare, dopo che un chirurgo un venerdì pomeriggio era venuto a dirmi che se mi avessero operato mi avrebbero distrutto l'addome, mi lasciarono andare a casa senza però sapere il motivo del blocco vescicale. Sono andata avanti a fare l'autocateterismo ancora per due mesi. Poi un giorno sono riuscita piano piano ad andare in bagno da sola. Non vi dico che male la vescica e l'uretere che riprendevano a funzionare. Ho avvisato l'urologo che era contentissimo. Mi avevano lasciato tornare a casa con la promessa che ci sarebbe stato un consulto tra i vari reparti per capire cosa poteva essere successo: urologia, ginecologia, neurologia, chirurgia generale. Alla fine l'ho scoperto da sola, perché dopo tutti questi anni, sono diventata medico di me stessa. Ho chiesto al mio dottore della mutua, l'unico che mi abbia sempre ascoltato e capito al primo sguardo, se potevo fare gli esami per sapere se ero in menopausa. Li ho fatti due volte a distanza di poco. Morale avevo ancora ovulazione e quindi quello che c'era ancora dentro il linfocele era il secondo pezzo ovarico che ovulando ingrossava la palla. Ecco perché era uscito sangue dal drenaggio quando spurgava il liquido. Stavo avendo una specie di mestruazione. Questo pezzo però, come mi aveva fatto capire il chirurgo, non si poteva andare a toccare. Ci sarebbe stata deviazione del retto sicura e per l'uretere avendo già subito un rinnesto, nessuno mi ha spiegato cosa avrei rischiato. Ho così riavvertito il mio ginecologo che oramai non sapeva più cosa dirmi e forse anzi malediceva il giorno in cui mi aveva lasciato il suo cellulare. Mi ha rimesso sotto pillola, ma non la solita una di nuova generazione, leggera. Dopo un mese avevo ancora il rene dilatato e l'urologo mi ha fatto tornare in pronto soccorso per mettermi lo stent di nuovo. Si vede che qualche angioletto ha guardato giù e visto che il ginecologo mi ha subito fatto fare le puntura di Enantone, il rene di è sgonfiato quindi mi hanno rimandato a casa. Sono rimasta con la puntura per quattro mesi, poi sono ritornata alla mia vecchia pillola che prendo tutt'oggi. Ho iniziato a soffrire di ipertensione. Il mio pezzo ovarico è tenuto sotto controllo con ecografie e dalla pillola ma i casini non sono finiti. Quando uno fa così tanti interventi ci sono sempre casini dovuti ad essi. La prima cosa che ho perso è la sensibilità all'interno della vagina. Poi mi sono accorta che non riuscivo più a defecare. Spingevo spingevo ma le feci non uscivano. Sono così andata dal collega del mio ginecologo, quello che mi aveva fatto la seconda laparoscopia insieme a lui. Mi ha visitato e consigliato un esame: la defecografia per vedere come funzionava tutto la parte potoria dell'intestino. L'esito è stato che avevo perso completamente il movimento anale. Quando dovevo chiudere chiudevo, ma quando dovevo spingere e quindi aprire, chiudevo. Ho dovuto fare due cicli di scosse al nervo pudendo che regola questo movimento, e ad oggi ho ripreso al 70% la funzionalità. Ho perso però la sensibilità all'ampolla del retto e per questo motivo mi si è formato un rettocele anteriore. Sto facendo un sacco di esami e di consulti per capire cosa fare. Ad oggi sono al punto che operare il retto comporterebbe andare ad intervenire su una parte già martoriata."Alcune volte la chirurgia non risolve niente, anzi può peggiorare" così mi ha detto un chirurgo di un altro ospedale da cui sono stata mandata. Un'altra soluzione che mi è stata data, ma per risolvere solo il problema delle insensibilità è operare il nervo pudendo per disimbrigliarlo dalle aderenze che sicuramente ha. Non ho ancora deciso niente ad oggi, ho la testa nel pallone. Tutte le soluzioni che mi danno non portano ad una soluzione definitiva. Io invece, vorrei mettere fine alla mia esperienza con questa maledetta malattia, che mi ha portato via tanto come donna e anche nelle amicizie perché stare vicino a gente malata non è facile, ed è molto più facile lasciarla in balia delle onde e che qualche santo provveda.